Oggi il Tour de France è al primo vero giro di boa. Dodicesima tappa con arrivo sul Mont Ventoux. Il forte vento, con raffiche a 100 km/h, ha obbligato gli organizzatori a salvaguardare l'incolumità dei corridori. Così non si arriverà in cima, ma il traguardo sarà posto a 6 km dalla vetta.
Il gigante della Provenza, uno dei vari nomi per indicare la montagna, viene amputato, smussato proprio là dove il suo fascino, terribile e meraviglioso, raggiunge l'apice.
Proprio dove le piante iniziano a diradarsi, spogliando il monte ventoso, lasciandolo solo e arido. Dove solo l'asfalto disegna la sua traiettoria nella sabbia, fra i sassi ed il paesaggio diventa lunare, spettrale.
Eppure dal punto di vista atletico non cambia molto. sono comunque 10 km di salita devastanti, con il 7,7% di pendenza e punte al 20%, proprio nella prima parte. Gli uomini di classifica non potranno nascondersi e si vedrà chi davvero sarà in grado vincere il Tour. Froome è stato l'ultimo vincitore su questa strada nel 2013, ma quest'anno sembra meno esplosivo in salita, nonostante parta in maglia gialla con 36'' di vantaggio su Yates conquistati fra attacchi in discesa e ventagli.
Proprio in quel 2013 l'unico a cercare, ed in parte riuscendoci, di resistere alle sue celebri "frullate" fu quello stesso Nairo Quintana ora quarto in classifica generale ed il quale ripone molte speranza e ambizioni su questa scalata per cercare l'assalto alla vittoria finale, dopo i due secondi posti.
Mont Ventoux una salita simbolo del Ciclismo
L'ultima celebre fu quella di Chris Froome, ma tante in questi secoli sono state le imprese avvenute su questa montagna storica. Il prima a scalarlo fu addirittura Francesco Petrarca, nel 1336, in cerca del misticismo che quel deserto sassoso riesce a trasmettere. L'intento del poeta era quello di rievocare la via crucis, incuriosito anche dalla fama sinistra propagata dalla gente del posto.
Il Tour de France, invece, lo "scoprì" nel 22 luglio 1951 in una tappa vinta da Lazarides. Il campione svizzero Ferdinand Kubler, quel giorno dopo aver tagliato il traguardo, si accasciò sull'asfalto stremato dal caldo e dalla fatica. Una volta ripreso convocò una conferenza stampa per annunciare il suo ritiro dalla vita agonistica.
Kubler non fu l'unico a sentirsi male, persino Eddy Merckx ebbe un malore dopo la sua vittoria.
Quello che accadde a Tom Simpson fu davvero una tragedia. Nel Tour del '67 il campione britannico voleva lasciare il segno e vincere ad ogni costo quell'edizione. Eppure fin dalle prime rampe si capiva che non stava bene, la sua andatura era affaticata e la pedalata sempre più pesante. Aimar, suo compagno di fuga nel gruppetto al comando testimonierà: "Gli ho offerto una borraccia, ma lui non mi ha potuto sentire. Il suo sguardo era perduto nel vuoto. Eppure la cosa strana era che continuava a cercare di superarmi"
A due km dalla cima le difficoltà si tramutarono in dramma, incominciò ad andare a zig-zag e sembrava dovesse crollare da un momento all'altro.
Il suo fisico era sul punto di cedere, ma il cervello gli ordinava di continuare. Ad un certo punto i suoi direttori sportivi scesero dall'ammiraglia per soccorrerlo.
"Rimettetemi in sella", disse loro, ma ormai stava morendo. Si spense sull'asfalto incandescente a un km e mezzo dalla cima, dove ora sorge una lapide in suo onore. L'autopsia chiarirà che ad ucciderlo furono una seria di fattori incatenati fra loro: il colpo di calore, lo sforzo fisico e la rarefazione dell'ossigeno che lo portò al collasso cardiaco e l'abuso di anfetamine che alterò la sua percezione della fatica.
Ben altra storia invece quella della rinascita di Marco Pantani, penultimo capolavoro di un grande campione.Quando arrivò solo con Lance Armstrong, superandolo in volata.
Il giorno dopo l'americano dichiarò pubblicamente di averlo lasciato vincere. Eppure fu il pirata che, quattro giorni più tardi, lo staccò a Courchevel rifilandogli 51'' e riaccendendo la speranza in tutti suoi tifosi.