La storia delle paralimpiadi affonda le sue origini nel 1948, quando il medico britannico Ludwig Guttman organizzò delle competizioni sportive per veterani di guerra che avevano riportato delle lesioni alla spina dorsale nella cittadina di Stoke Mandeville, piccolo centro abitato della contea di Buckinghamshire, nel cuore dell’Inghilterra.

Il progressivo interesse internazionale all’iniziativa che si concretizzava in una sempre maggior richiesta di partecipazione da parte di atleti di altri Paesi con disabilità fisiche, fece sì che un collega italiano di Guttman di nome Antonio Maglio portasse il progetto su un piano diverso, più ufficiale ed istituzionale: in concomitanza con le Olimpiadi di Roma del 1960, furono tenute proprio nella Città Eterna anche tutte le gare che costituivano storicamente i Giochi di Stoke Mandeville, andando così a strutturare quelli che poi il Comitato Olimpico Internazionale avrebbe riconosciuto a tutti gli effetti come i I Giochi Paralimpici estivi.

La straordinaria finale vinta da Abtellatif Baka

In cinquantasei anni e quindici edizioni i momenti che hanno fatto emozionare gli spettatori di tutto il mondo non sono affatto mancati, dimostrando ad un pubblico sempre più vasto come individui affetti da qualche disagio corporeo siano in realtà capaci di compiere, grazie a doti naturali, costanza di allenamenti e tenacia psicologica, gesti atletici di portata straordinaria.

Caso esemplare è quello della finale di atletica leggera dei 1500 m che si è tenuta a Rio nella notte di domenica 11 settembre e che ha visto trionfare l’atleta algerino Abtellatif Baka, classe 1994, con un tempo di 3’48’’29, un secondo e mezzo più basso del vincitore omologo delle Olimpiadi “per normodotati”, lo statunitense Matthew Centrowitz, che si era imposto con 3’50’’00.

Non solo. Baka, che si è aggiudicato l’oro nella categoria T13, quella corrispondente agli atleti ipovedenti, non è stato l’unico corridore a coprire la distanza più velocemente di quanto avesse fatto il campione americano un mese fa: altri tre finalisti hanno abbassato l’asticella dei 3’50’’00, ovvero l’etiope Tamiru Demisse (3’48’’49), il kenyota Henry Kirwa (3’49’’59) e l’algerino, fratello del primo classificato, Fouad Baka (3’49’’84).

Al di là della "Fantatletica", un risultato che parla chiaro

L’immediata considerazione di immaginare, in una ipotetica competizione mista, i quattro atleti delle Paralimpiadi ad occupare le prime quattro posizioni e Centrowitz automaticamente fuori dal podio è comunque da rivedere. Vero infatti è che una gara d’atletica è una corsa estremamente studiata, in cui i tempi vengono determinati certamente dal cronometro supportato dalle gambe dei singoli individui, ma anche dal confronto dei campioni in relazione gli uni agli altri, in un continuo gioco di strategie mirato alla medaglia d’oro e fatto di andature che aumentano e diminuiscono, di falsi scatti e di attese rispetto alle azioni dei rivali (basti pensare che il keniano Ronald Kwemoi ebbe in semifinale un tempo di 3’39’’42, ma arrivò dietro a Centrowitz alla finale).

Tuttavia, le parole di Abtellatif Baka pronunciate una volta conquistato il titolo, ovvero «Sono strafelice, peccato non esserci stato anche ad agosto», hanno un reale e preciso significato: la stoffa del vero campione non segue categorie e suddivisioni create dall’uomo nel mondo sportivo, ma si rintraccia lì ovunque natura, allenamento e serietà plasmino una persona in un atleta fenomenale.