"The last dance" è la conferma che lo sport può essere raccontato attraverso le Serie TV. E con che risultati: il prodotto che racconta l'epopea di Michael Jordan e dei Chicago Bulls nella stagione 1998 ha frantumato ogni record di visualizzazioni precedentemente detenuto da qualunque altro trasmesso su Netflix per gli abbonati italiani. Il documentario non è ancora stato interamente trasmesso (lunedì 18 usciranno le ultime due parti) ma i numeri diffusi dalla piattaforma di streaming a pagamento non lasciano dubbi. Il record di ascolti dimostra che i telespettatori si appassionano facilmente a queste storie che mescolano sport, storia e vita privata dei protagonisti.
Il regista ha saputo equilibrare i vari aspetti così da renderla una serie leggera e adatta a tutti.
Una serie da record
Il fenomeno Michael Jordan colpisce ancora. Nonostante abbia ormai da tempo abbandonato il campo da Basket, oggi si parla ancora molto di lui. E non solo per il suo glorioso passato di schiacciate e canestri.
Da poco tempo, sulla piattaforma Netflix, è uscita una nuova serie TV intitolata "The last dance" e creata da Michael Tollin per narrare della stagione NBA 1997-1998 dei Chicago Bulls, la squadra di Jordan. Ma sarebbe riduttivo descriverla così. Ambisce infatti ad essere un documentario, colmo di immagini inedite, di interviste ai protagonisti del tempo e a esperti e giornalisti.
Il tutto si sviluppa in dieci episodi (visibili in Italia due alla volta ogni settimana) di un'ora l'una, dove ogni volta viene analizzato un aspetto diverso, che si tratti di giocatori ( fra tutti Scottie Pippen, Dennis Rodman, Michael Jordan e il coach Phil Jackson), aneddoti o verità storiche sepolte sotto vent'anni di polvere.
Come già anticpato, la serie sta avendo straordinari risultati dal punto di vista degli ascolti, infatti è già prima in Italia fra le produzioni Netflix, posizionandosi davanti anche a La casa di carta. Si direbbe quindi azzeccata la scelta di far uscire questa opera in anticipo, infatti l'esordio era previsto nel mese di giugno, ma i produttori hanno ben pensato di sfruttare questa situazione al meglio.
Il sacrificio è stato, almeno in Italia, di dover rinunciare al doppiaggio, ma i risultati parlano chiaro: se una serie è bella poco importa se è tradotta o meno.
La storia di un mito
La storia dei Bulls campioni e di Michael Jordan parte da un po' più lontano, precisamente dall'estate del 1984. Il team di Chicago ha la terza scelta al Draft e optano proprio per il giovane ragazzo della University of North Carolina Chapel Hill del quale girava già qualche voce.
Fino alla stagione 1990-1991 il palmarès di MJ era pieno di record ( per quattro anni di fila miglior marcatore), ma vuoto di titoli. Lui era già a livelli strabilianti, certo, ma ciò non bastava per ottenere il tanto atteso anello. Pian piano il general manager Jerry Krause costruisce una squadra competitiva e decide di rimpiazzare mister Collins con Phil Jackson, il suo vice.
Nell'anno del primo titolo riescono a battere i Pistons, coi quali si era creata grande rivalità, e in finale i Los Angeles Lakers di Magic Johnson. La serie racconta numerose vicende accadute in questi anni, come l'episodio in cui i Pistons uscirono dalla partita senza salutare e stringere la mano agli avversari vittoriosi, oppure la gioia di Jordan, che lo porterà a piangere di felicità perché, come dice lui, era finalmente diventato uno dei grandi vincenti insieme a Magic Johnson e Larry Bird.
Nei primi episodi si approfondiscono le vite di Dennis Rodman e di Scottie Pippen. Il primo un classico genio e sregolatezza, fortissimo ma bisognoso di libertà, il secondo dedito al lavoro tanto da diventare una pedina fondamentale della squadra. E che dire delle "vacanze" di Rodman a Las Vegas? Un patto fra lui ed il coach che ha funzionato benissimo, visto gli ottimi risultati ottenuti sul campo.