Ormai i social network fanno parte della nostra vita quotidiana, li usiamo spesso durante il giorno per parlare con i nostri conoscenti, vicini e lontani, ed anche per conoscere nuove persone, sia in ambito lavorativo che nella nostra vita privata.

A volte, purtroppo, vengono usati anche per scopi illegali come l'adescamento di minori oppure per spiare una persona, ma dora in poi c'è una sentenza della Corte di Cassazione che prevede la reclusione per chi scrive commenti diffamatori o insulti verso altri utenti.

Tutto è cominciato nel 2010, quando una donna separata, accusò il marito di aver pubblicato sul social in blu commenti diffamatori e insulti pubblici.

Il caso fu portato all'attenzione del Giudice di Pace che si dichiarò incompetente e trasmise il processo al Tribunale competente. L'avvocato difensore del marito però, sollevò il conflitto di competenza durante il processo e tutti gli atti furono passati alla Corte di Cassazione.

Passati, dunque, cinque anni la Cassazione ha stabilito che la competenza rimane comunque del Tribunale e che le diffamazioni a mezzo social network sono da intendersi del tipo "aggravato da pubblicità". Con tale sentenza si indica che la natura penale del caso non è solo pecuniaria ma anche detentiva per chiunque diffami o insulti qualcuno utilizzando Facebook, Twitter o qualsiasi altro social network, con la possibilità di scontare una pena che va dai sei mesi fino ai tre anni.

Questa decisione crea sicuramente un precedente che tutelerà maggiormente chi è vittima di insulti, minacce o diffamazioni sui vari social network attualmente in circolazione, cosa che prima d'ora non era possibile. Coloro che si macchieranno di questo reato, quindi, saranno passibili penalmente e rischieranno anche il carcere nel caso di offese gravi ad altre persone.

Quindi fate bene attenzione a ciò che pubblicate on line e misurate bene le parole che scegliete di rendere pubbliche poiché qualcuno potrebbe citarvi in giudizio.

Chissà come andrà a finire, adesso, il processo che vede imputato il senatore Maurizio Gasparri, citato a giudizio proprio per ingiuria a causa di un tweet.