Nel 1964 due giovani fisici, in modo del tutto indipendente l'uno dall'altro, iniziarono a ipotizzare che la materia fosse composta da gruppi di «mattoncini» aggregati. Il primo si chiamava George Zweig, un brillante studente dell'università del Michigan, che chiamò Assi queste particelle, perché convinto che ne esistessero solo quattro come le carte da gioco. Il secondo fisico era invece Murray Gell-Mann, archeologo mancato, figlio di immigrati dell'Ucraina, laureatosi alla Yale University a soli 19 anni. Brillante, intelligente e tenace, Gell-Mann, teorizzò una struttura della materia secondo la quale i protoni e i neutroni, le particelle che formano il nucleo dell'atomo, fossero composti ulteriori particelle più piccole.

Ispirato da un romanzo di James Joyce, Gell-Mann chiamò infine Quark le particelle scoperte, arrivando anche a comprendere come i mesoni, altre particelle subatomiche, siano composte di coppie di quark e antiquark. Il brillante fisico già allora ipotizzò l'esistenza di altre forme di quark, in particolare di un pentaquark formato da quattro quark e un antiquark, e per le sue scoperte ricevette il premio Nobel nel 1969. Ma il pentaquark, come il bosone di Higgs, sarebbe rimasto un mistero della fisica per altri 50 anni.

Ripresa l'attività dell'acceleratore di particelle dopo due anni di manutenzione

Al Cern di Ginevra, a marzo di quest'anno, è stato rimesso in funzione il Large Hadron Collider, l'acceleratore di particelle più grande del mondo.

Iniziando da subito a esaminare una mole impressionante di dati, la squadra di Tomasz Skwarnicki, della Syracuse University, ha esaminato il decadimento tra alcune particelle (kaone carico, J-psi e barioni da una parte, e la particella lambda-b dall'altra). Durante tale decadimento, le particelle formano un ulteriore stato di aggregazione: il pentaquark inseguito da mezzo secolo.

La scoperta, presentata poi sulla rivista Physical Review Letters (ricordiamo che una scoperta scientifica è ritenuta ufficiale solo quando viene pubblicata su una rivista dedicata) e nella quale ha avuto un ruolo importante anche l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare italiano, permette ora di capire meglio le interazioni fra le particelle e gli stati della materia.

Anche se rimane ancora da capire meglio come gli stessi quark interagiscano tra di loro all'interno del pentaquark, la scoperta del team di Skwarnicki consente di capire meglio quella che viene definita interazione forte, la legge della fisica che tiene unite le varie particelle del nucleo atomico

Il margine di errore è pressoché inesistente

La presenza di aggregati di quattro o cinque quark, in verità, è stata più volte rilevata da esperimenti poi rivelatisi sbagliati in seguito a esami più approfonditi. La precisione dell'acceleratore del Cern, unito alla mole di dati raccolti, ha permesso ai ricercatori di stimare un margine di errore, in termini tecnici, di 10 sigma. Praticamente inesistente, in parole semplici.

Come se finora i ricercatori avessero sempre cercato il pentaquark in una stanza buia, da un solo punto di vista e con l'aiuto di una minuscola torcia, mentre l'acceleratore del Cern ha permesso loro di cercare la particella in una stanza perfettamente illuminata e da ogni angolazione possibile, eliminando di fatto qualsiasi rischio di errore.