Un’autentica strage quella compiuta da una flotta di 4 navi dell’Istituto di Ricerca sui Cetacei del Giappone che ha provocato l’uccisione di 333 balenottere minori di cui almeno 200 di sesso femminile risultate gravide.Il Giappone, attraverso una comunicazione del ministro della pesca, si è giustificato affermando che l’operazione si era resa necessaria per lo studio e la comprensione dei comportamenti della popolazione delle balene Minke, oggetto di una ricerca chiamata JARPA II.

Nel 2014 il veto internazionale dell'Aja

Nel 2014 la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja aveva espressamente intimato al Giappone di fermare il programma di caccia alle balene, appello rimasto sempre inascoltato, tanto da spingere la Corte Federale australiana a comminare nello stesso anno una multa di 1 milione di dollari per l’uccisione di numerosi esemplari nel Santuario delle Balene australiano.

Il Giappone ha continuato nel tempo a ignorare gli ordini internazionali sostenendo, per questo ultimo episodio, che le attività di caccia alle balene sarebbero necessarie a JARPA II, la ricerca che pretende di studiare il mantenimento e il miglioramento della popolazione delle balene Minke e gli effetti ambientali conseguenti al loro approvvigionamento alimentare; con queste motivazioni il Giappone ha ufficialmente informato di avere avallato un programmadella durata di 12 anni che prevede l’uccisione di 7000 balene.

Quella che viene insistentemente presentata come una ricerca dalle discutibili modalità, è in realtà un’autentica e inaccettabile strage a danno dell’ecosistema marino, i cui scopi sono, come denuncia la Corte di Giustizia Internazionale dell’Aja, esclusivamente commerciali.Le 4 navi avevano lasciato il porto di Shimonoseki a sud di Tokyo nel mese di novembre 2015 per farvi ritorno giovedì 24 marzo con un bottino di 333 esemplari di balene uccise nell’Oceano Antartico.Non è mancata l’indignazione di Greenpeace e Sea Shepherd sui social network e sui siti di propaganda, in particolare Sea Shepherd si era già resa nota per un drammatico scontro in mare con le baleniere giapponesi a febbraio del 2014.

Il Giappone, con una mattanza di proporzioni inaudite, ha violato la diplomazia e il diritto internazionale a poco più di un anno dalla sentenza del Tribunale dell’Aja, nonostante la iniziale promessa di rinunciare alla caccia, e non sembra intenzionato a interrompere la propria, opinabile, ricerca.