Intervista all'On. Andrea Maestri

Partiamo dal suo recente intervento sulla proroga dell’opzione donna: qual è il suo punto di vista al riguardo?

La conclusione della sperimentazione di Opzione Donna è stata decretata frettolosamente e impropriamente, senza che fosse stata condotta la necessaria indagine conoscitiva richiesta entro il termine del 31 dicembre 2015 prevista dalla originaria legge 243/2004. Se è vero quello che afferma un rappresentante del partito di Governo come l'On. Damiano, Presidente della Commissione Lavoro della Camera (d'accordo a continuare la sperimentazione al 2018) riguardo alla problematica della copertura economica, “i 2,5 miliardi di euro che ci hanno costretto a mettere per il trimestre di Opzione Donne secondo me non verrà mai speso” spiegando quindi che “…quei risparmi che sono tornati al Tesoro perché non era un fondo ben classificato dovrebbero essere in buona parte utilizzati per continuare la sperimentazione di Opzione Donna”, è evidente che se il Governo non intende rimettere il discussione la decisione presa di interrompere la sperimentazione, è una scelta tutta politica e non economica.

Il Governo come al solito è incapace di considerare i vantaggi a medio-lungo termine che comporterebbe rendere strutturale Opzione Donna, soprattutto alla luce delle ricerche condotte da Censis e dall'Ocse che attestano i gap socio-economici delle donne italiane rispetto al resto d'Europa e non solo: motivi per i quali l'Italia si conferma fanalino di coda in Europa nel superare le differenze di genere. Le donne che scelgono di ricorrere a Opzione Donna accettano condizioni altamente penalizzanti come quella che la pensione venga liquidata interamente con il calcolo contributivo, rimettendoci perciò in media tra il 25 e il 40 per cento dell'importo loro spettante in maniera permanente, con una risparmio evidente per le casse dell'INPS.

Spesso queste donne decidono di uscire anticipatamente dal mondo del lavoro per dare sostegno ai propri anziani, a figli e nipoti, dato che le donne in Italia, ancora oggi, rivestono un ruolo di caregiver e praticamente sono l'unico ammortizzatore sociale in un sistema di welfare insufficiente. Permettere poi alle donne che non hanno più un lavoro certo di accedere alla misura a 57 anni, eviterebbe allo Stato spese per eventuali sussidi di disoccupazione o ammortizzatori sociali.

Senza dimenticare che si innescherebbe un ricambio generazionale e un corretto ripristino di quel turnover tra anziani e giovani adesso più che mai indispensabile, stante il livello raggiunto dalla disoccupazione giovanile nel nostro paese. Un'opportunità che il Governo dovrebbe prendere al volo perché non grava sul bilancio pubblico.

Anche sul tema dei lavoratori esodati lei ha recentemente avanzato al Governo delle precise richieste, ricevendo una risposta non soddisfacente. Possiamo fare il punto della situazione?

Anche per gli esodati i soldi ci sono. Dalla risposta evasiva e insufficiente che mi è stata inviata dal Sottosegretario Bobba, i dati dell'INPS aggiornati al 5 ottobre 2017 riportano che le domande accolte delle categorie di lavoratori cessati entro il 30 giugno 2012, quelli cessati dopo il 30 giugno 2012 e quelli cessati unilateralmente, sarebbero soltanto 3.110 - su una disponibilità di 7.800 e di relative risorse stanziate - su n totale di 8.306 richieste. Rimarrebbero quindi senza salvaguardia circa 5.000/6.000 lavoratori, considerando le giacenze, cioè domande che ancora non sono state esaminate e le domande respinte pervenute oltre il termine del 2 marzo 2017, che con un'ulteriore salvaguardia potrebbero riuscire a usufruire della misura.

Il Governo tramite il sottosegretario ha confermato di non prevedere un'ulteriore salvaguardia. Questa posizione ottusa e rigida, dà la misura di quanto questo Governo consideri facoltativo il rispetto di regole basilari di uno Stato di diritto, come il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Un'ulteriore salvaguardia, in sostanza, sanerebbe una discriminazione nel diritto, come quella tra due ex lavoratori appartenenti a differenti tipologie ma caratterizzati da una perfetta identità di requisiti che arriva a superare i 5 anni. Infatti, mentre per alcune tipologie di ex lavoratori, si prevede il perfezionamento dei requisiti entro 36 mesi dal termine della mobilità, estendendone di fatto la tutela fino al 6 gennaio 2021, per gli ex-lavoratori cessati entro il 30 giugno 2012, vincolati al regime delle decorrenze per un periodo di soli 24 o 12 mesi, la tutela si limita per alcuni al 6 gennaio 2019, mentre per altri non va oltre il 6 gennaio 2018.

Stiamo parlando di un notevole numero di persone che pur avendone diritto, resterà escluso e discriminato.

Infine, osservando gli ultimi sviluppi previdenziali da un punto di vista più generale, come interpreta la posizione del Governo sulla legge di bilancio 2018 attualmente in discussione?

La Legge di bilancio 2018 non prevede sostanziali interventi sulle Pensioni. I sindacati sono in mobilitazione e a sostegno dei tavoli di trattativa in corso con il Governo, sabato 14 ottobre, in tutte le province, davanti alle sedi delle Prefetture, si terranno manifestazioni organizzate da Cgil, Cisl, Uil. I sindacati chiedono che in legge di bilancio siano inseriti una serie di provvedimenti in materia di lavoro, previdenza, welfare e sviluppo.

In particolare, Cgil, Cisl, Uil rivendicano: più risorse sia per l’occupazione giovanile sia per gli ammortizzatori sociali; il congelamento dell’innalzamento automatico dell’età pensionabile legato all'aspettativa di vita; un meccanismo che consenta di costruire pensioni dignitose per i giovani che svolgono lavori discontinui; una riduzione dei requisiti contributivi per l’accesso alla pensione delle donne con figli o impegnate in lavori di cura; la verifica della consistenza delle risorse residuate per l'opzione donna e l'ottava salvaguardia relativa agli esodati gestendo le problematiche aperte; l’adeguamento delle pensioni in essere; la piena copertura finanziaria per il rinnovo e la rapida e positiva conclusione dei contratti del pubblico impiego; risorse aggiuntive per la sanità ed il finanziamento adeguato per la non autosufficienza.

Mi sembrano richieste ispirate a equità e giustizia sociale: il Governo non può restare indifferente. Per la lotta alla povertà, ovvero per il reddito di inclusione sociale sono previsti 600 milioni nel 2018, 900 milioni nel 2019, 1,2 nel 2020: cifre assolutamente insufficienti. Insomma, c'è da essere moderatamente pessimisti ma noi daremo battaglia fino in fondo.