Prima di Natale, Aran e sindacati dei dipendenti del Comparto Funzioni Centrali della Pubblica Amministrazione, hanno chiuso l’accordo sul rinnovo. Si tratta dei lavoratori dei Ministeri e delle Agenzie Fiscali, 270mila lavoratori circa. Un accordo che prevede un nuovo contratto con decorrenza gennaio 2016 e scadenza dicembre 2018. Le cifre di aumento restano quelle della bozza di intesa Governo-parti sociali di fine 2016 e adesso sembrava che la partita dovesse spostarsi agli altri comparti, quelli numericamente più vasti come organico dipendenti.
La chiusura della trattativa in un comparto faceva presagire lo stesso risultato per gli altri, anche se evidentemente con alcune necessarie differenze. I comparti della Scuola, delle Forze di Sicurezza, della Sanità e degli altri Enti Locali contano complessivamente altri 3 milioni di dipendenti pubblici oltre i 270mila per i quali il rinnovo può essere considerato cosa fatta. Le parole della Madia piene di soddisfazione ed ottimismo si scontrano con la realtà dei fatti, con le intese ancora lontane dall’essere trovate e con alcune Amministrazioni Pubbliche che si sono viste recapitare richieste di risarcimento e messe in mora da parte dei dipendenti. Ecco il punto della situazione e cosa accadrà nei prossimi mesi.
Difficile la chiusura prima delle elezioni
Nove anni di attesa, questo quanto hanno dovuto attendere i lavoratori pubblici per vedersi rinnovare il loro contratto collettivo. Una sentenza della Consulta del luglio 2015 ha aperto le porte a questo tanto agognato rinnovo perché ha definito incostituzionale il blocco della perequazione per gli stipendi dei lavoratori statali stabilito dal Governo Monti e dalla Fornero.
Per i 270mila Ministeriali dopo il via libera del Consiglio dei Ministri, si attende l’ok della Corte dei Conti per formalizzare il rinnovo, la concessione degli arretrati e l’aumento di stipendio. Se tutto andrà per il meglio, a fine febbraio l’arretrato una tantum per il biennio 2016-2017 sarà erogato ai lavoratori, mentre per il mese successivo si passerà agli aumenti.
Una tempistica che possiamo definire elettorale, perché cadrà a pochi giorni dalle elezioni politiche del 4 marzo con probabili ricadute sul voto e sul gradimento dell’attuale maggioranza nei confronti dell’elettorato. Le cifre sono quelle solite, con 85 euro di aumento lordo per dipendente e tra 300 e 700 euro come arretrati una tantum per il biennio. Un aumento tabellare del 3,48% a dipendente, con extra bonus da 20 euro per i lavoratori con stipendi di fascia più bassa come elemento di perequazione e bonus da 10 euro per i dipendenti delle amministrazioni più virtuose come importo aggiuntivo del salario accessorio. Numeri che dovrebbero essere pressoché identici per gli altri comparti dove però le difficoltà sono maggiori e per i mesi di febbraio e marzo probabilmente nulla succederà.
Il Comune di Milano messo in mora
Platea di dipendenti molto più vaste sono il primo dei problemi che rende complicato allargare il perimetro dell’accordo dei Ministeriali a Forze dell’Ordine ed insegnanti tanto per citare alcuni esempi. Nella Scuola risiedono i lavoratori con stipendi più bassi di tutta la PA e con la base di quel 3,48% di aumento tabellare, non si riuscirà a garantire anche per loro le 85 euro di aumento. Sarebbe necessario prevedere un elemento perequativo doppio rispetto a quanto stabilito per le Funzioni Centrali, con aumento di esborso per le Casse dello Stato che gli stanziamenti per il capitolo rinnovo non hanno previsto. Per Forze Armate e Forze dell’Ordine ci sono le indennità di straordinario oggi sottopagate che hanno costretto i sindacati del comparto a dire di no alla prima proposta dell’Aran.
Per Sanità ed Enti Pubblici poi c’è da fare i conti con la parte di rinnovo che come competenza dovrebbe toccare alle regioni, chiamate a mettere i loro soldi, oggi scarsi, a fianco di quelli stanziati dal Governo per questi lavoratori. Tutto ancora in alto mare e iniziano già i primi contenziosi. A Milano per esempio, i dipendenti del comune meneghino ha fatto causa all’Ente chiedendo 130 milioni di euro per arretrati e inadempienze dell’Amministrazione. La richiesta è relativa al mancato anticipo prima del nuovo contratto per un periodo che va dal 2010 a tutto il 2017. Ogni lavoratore dovrebbe riuscire a recuperare 9mila euro di arretrati per questo lasso di tempo in cui il comune di Milano non ha applicato le leggi e non ha rinnovato un contratto scaduto per i propri dipendenti.
Ipotizziamo che quanto sta accadendo a Milano presto potrebbe verificarsi in molte altre Regioni e Comuni ed in molti altri Uffici Pubblici che ancora oggi sono con stipendi bloccati e contratti di lavoro scaduti.