Com'è noto, il progetto di riforma della Scuola pubblica introduce nuove modalità di chiamata e valutazione dei docenti, sostanzialmente affidate ai potenziati poteri del Preside. Nell'infuriare delle polemiche, anche il prof. Umberto Galimberti, noto editorialista e accademico, ha voluto recentemente prendere posizione ponendosi, a suo dire, dalla parte degli studenti che, grazie a quelle misure, vedrebbero migliorare la qualità dei loro insegnanti.

Per l'esimio professore solo la periodica valutazione dei docenti insieme alla loro scelta per opera del Preside può consentire di elevare il livello dell'offerta formativa, la cui scadente performance va integralmente imputata a una classe docente nella stragrande maggioranza incapace di istruire e educare gli studenti motivandoli e affascinandoli.

Manipolando un dato statistico che capovolge la realtà e isolando quelle misure dall'insieme della Riforma La Buona Scuola, l'illustre accademico soffia su consolidati pregiudizi, alimenta la divisione sociale, bolla le resistenze dei docenti come chiusura di una casta corporativa che rifiuta di farsi giudicare.

Emulo di ormai ordinari modelli politici, utilizza innegabili disfunzioni e l'ignavia di pochi per marchiare un'intera categoria ed esaltare la dominante ideologia del Mercato e del Privato, mitologicamente visti come efficienti, meritocratici e giusti.

Partendo da questi miti, ma scientemente ignorando i pessimi risultati della grande maggioranza delle scuole private, l'autorevole professore si schiera risolutamente a favore della misura governativa che inevitabilmente, grazie alle leggi di quel mercato, porterà ad avere insegnanti migliori.

Una presa di posizione in perfetta sintonia con i meccanismi e i paradigmi culturali del lavoro privato e gerarchizzato, conforme all'idea che l'istruzione sia una merce come le altre e gli studenti dei prodotti: provvederà la mano infallibile di un Mercato che non sbaglia mai (nonostante l'evidenza degli attuali disastri) a sanzionare la valutazione e la scelta del Preside e dei suoi fidati, premiando le scuole più efficienti e penalizzando le meno efficienti, evitando clientelismi e corruzione.

Ma, nell'attuale contesto scolastico dotato di sempre minori risorse, in un quadro caratterizzato da classi pollaio, scarsi o inesistenti mezzi per affrontare il montante disagio sociale, appare difficile imputare alla classe docente la generale caduta del sistema istruzione.

E soprattutto, isolando la valutazione dei docenti da tutto il restante corpo della riforma scolastica, se ne nasconde la reale natura.

La valutazione e la chiamata diretta dei docenti, in combinazione con i finanziamenti dei privati, rappresentano una formidabile arma di ricatto con la quale il Preside Padrone potrà cancellare la libertà d'insegnamento e imporre un sapere subordinato ai valori e agli interessi degli sponsors, assoggettando i giovani all'ideologia d'impresa attraverso l'educazione a un modello lavorativo precario e senza diritti.

La formazione del cittadino consapevole e ragionante sarà sostituita dalla formazione del nuovo schiavo-precario che, assimilando come naturale mancanza di diritti, sarà capace di fare ma non di pensare, di eseguire ordini e tecnicità ma non di confrontarsi con l'unica cultura che gli sarà proposta, mentre il docente sarà valutato in base alla capacità di sottometterlo a quei valori.

Per questo gli insegnanti non rifiutano di essere giudicati, ma vogliono esserlo per la capacità di formare cittadini, non sudditi.