La riforma della Scuola, meglio conosciuta come "Buona Scuola" in virtù di una calcolata comunicazione mediatica, è al centro di discussioni, polemiche e contestazioni nel Paese, con riflessi finanche sulla tenuta del Governo Renzi. Scopi, conseguenze e aspetti di quella Riforma sono stati e sono ampiamente dibattuti e illustrati, spesso con l'intervento d'intellettuali e personalità note, come Rodotà e Imposimato.

Data per ampiamente condivisa, nel dibattito, la convinzione che l'esito del progetto di modifica del sistema dell'istruzione sia la sostanziale aziendalizzazione della scuola Pubblica - esito che di per sé integra l'assolutizzazione del Mercato quale unico parametro di efficienza - appare utile aggiungere qualche ulteriore riflessione sul ruolo svolto in questo senso dall'alternanza scuola-lavoro, l'indicatore della Scuola Confindustriale forse a oggi meno considerato.

Nell'alternanza scuola-lavoro non c'è solo l'assoggettamento dei giovani all'ideologia d'impresa attraverso l'educazione (acritica) a un modello lavorativo precario e senza diritti; c'è, anche, l'attività gratuita o resa a costi irrisori alle imprese; c'è la volontà di scaricare sulla collettività i costi della formazione aziendale; ci sono gli esiti discriminatori legati alle diverse opportunità offerte dai territori d'appartenenza; c'è la volontà di ottenere forza-lavoro scarsamente qualificata per favorire un modello economico produttivo a bassa intensità tecnologica qual è quello italiano.

Ma soprattutto, in un contesto di sostanziale stagnazione dei consumi e di asfittica ripresa economica, nell'alternanza scuola-lavoro manca ogni significativa prospettiva occupazionale. Come confermano le rilevazioni empiriche, la diminuzione delle tutele del Lavoro non ha ricadute positive sui livelli occupazionali, tanto più in assenza di una sostanziosa crescita che possa alimentare i consumi (la marginale erosione della disoccupazione, registrata negli ultimi tempi, si deve, infatti, esclusivamente a una fiscalità di favore di corto respiro e periodo).

Per opinione comune degli osservatori - da ultima una simulazione di Confcommercio - saranno invece necessari lunghi anni perché l'economia italiana possa ricollocarsi ai livelli pre-crisi, sempre che il Pil cresca ai ritmi ipotizzati. In questo quadro, ulteriormente caratterizzato da un sistema produttivo prevalentemente rappresentato da imprese di piccola e media dimensione, poco propense all'innovazione tecnologica, che ricercano competitività basandosi su bassi salari, pochi o inesistenti diritti e la dequalificazione dei titoli, il peso della qualificazione professionale in termini di occupazione non può che rivelarsi decisamente marginale (Guglielmo Forges Davanzati, Micromega, aprile 2015).

D'altronde, anche i dati statistici s'incaricano di dimostrare come la disoccupazione giovanile complessiva dipenda solo per un 2% dalla "mancanza di adeguata preparazione e formazione" (UnionCamere-Ministero del Lavoro) e come i programmi di apprendistato predisposti dall'ultimo governo Berlusconi (2011), di cui l'alternanza scuola-lavoro rappresenta la sostanziale riproposizione, non abbiano avuto sorte migliore.

Ben lontana dal creare occupabilità, l'alternanza scuola-lavoro si rivela dunque per quello che è: un ulteriore passaggio verso la piena egemonia culturale, sociale ed economica dei vari committenti di Renzi (Confindustria, Associazione Treelle, ecc.).