Scenari apocalittici all'Orizzonte. Il Report presentato qualche giorno fa dal gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico impone una certa urgenza sulle questioni ambientali. L'urgenza richiederebbe una ricerca di soluzioni in tempi brevi. L'intelligenza l'imporrebbe ma non sembra questo il caso. Governi e attivisti, soprattutto in Europa, sembrano rigidamente intenti nel perseguire il Santo Graal di un accordo globale, in base alla quale le principali economie mondiali si muoverebbero insieme in un processo sincronizzato di decarbonizzazione, scrive Nick Butler sul Financial Times.

Un approccio senza dubbio ideale, il quale però poco considera l'urgenza delle questioni ambientali e le differenze sia strutturali che di fabbisogno energetico e di materie prime oltre che nei tempi e nelle spese, dovuti alla riconversione energetica, certamente differenti di paese in paese. L'umiltà imporrebbe la ricerca di un nuovo approccio.

Quello di cui si necessita in questo momento è senz'altro una risposta pratica che si rifaccia ad un progresso tecnologico, in corso ormai da anni, che ci possa permettere di passare ad un economia a basse emissioni di carbonio in tempi assolutamente brevi.

Un progresso tecnologico che possa consentire la cattura e lo stoccaggio del carbonio, appare il modo più appropriato per gestire il problema stesso delle emissioni.

Tale tecnologia richiede tempi di implementazione essenzialmente lunghi, anche i primi impianti finanziati dall'Unione Europea nel 2009, sono ancora in fase di costruzione.

Fonti rinnovabili ed altre fonti per l'approvvigionamento di energia a basse emissioni di carbonio, come l'energia nucleare, offrono modi più rapidi di procedere, ma nella maggior parte dei casi sono troppo costosi.

Mentre alcuni paesi sviluppati potrebbero permettersi prezzi così elevati, la maggior parte dei consumatori di energia al mondo ne verrebbe soffocata. A meno che le rinnovabili non scendano di prezzo, i miliardi di consumatori di paesi come la Cina e l'India, continueranno a fare affidamento sul carbone quale fonte principale di sostentamento energetico.

Una strategia vincente quindi richiederebbe un aumento della competitività dei prezzi delle rinnovabili cosicché da riuscire a penetrare i mercati dei paesi più poveri.

Un sfida certamente ardua, che i governi, per via di mezzi finanziari essenzialmente scarsi, ora come ora non riuscirebbero ad affrontare. Soltanto un gruppo di Fondazioni internazionali avrebbe le risorse necessarie per implementare una strategia vincente.

La sfida spetterebbe a fondazioni come la Bill & Melinda Gates (con un capitale di 42,3 miliardi di $) e ad altre istituzioni analoghe. A contare naturalmente non è in ogni caso soltanto l'ammontare del finanziamento elargito, ma il senso della missione e una strategia valida ed univoca.

Le fondazioni dovrebbero inoltre riuscire a scavalcare anche la camicia di forza della burocrazia che riduce le possibilità di profitto. I risultati che si raggiungono sono spesso troppo deludenti. Anche, i loro fiduciari sembrano interessati solo a preservare il valore del capitale dei fondi che controllano.

Un programma incentrato sulla ricerca a basso costo potrebbe non funzionare. Fondazioni internazionali dovrebbero accettare il fallimento come parte fondamentale e imprescindibile del processo di innovazione e cambiamento. In ogni caso, "tentar non nuoce".