Ancora una volta a spuntarla sono stati i paesi ricchi che non vogliono sapere di aprire il portafoglio per rimpinguare il "Green Climate Fund", il Fondo internazionale per il clima. La materia del contendere è sempre la stessa. Da una parte ci sono i paesi più sviluppati, che sostengono di svolgere già la propria parte attenendosi ai protocolli Usa - Cina e a quelli dell'Unione Europea, mentre dalla parte opposta si trovano schierati i paesi più poveri, che sono dell'avviso che non spetta a loro farsi carico d'una qualsivoglia responsabilità finanziaria, poiché si considerano quelli che non inquinano, se non in minima parte e senza compromettere il futuro del pianeta.
La XXesima Conferenza Onu sul clima: i temi - I rappresentanti dei 195 paesi che si erano riuniti a Lima (Perù) per trovare una equa soluzione per abbattere i tassi di anidride carbonica e tentare di ridurre almeno di due gradi la temperatura del pianeta si sono, quindi, divisi e posizionati su rive opposte ma dello stesso turbolento fiume. Forse per questa ragione - dopo una lunga nottata di compromessi - hanno elaborato un protocollo di cinque pagine che - secondo gli addetti ai lavori - avrà poca rilevanza, quando sarà presentato alla Conferenza di Parigi che si terrà il prossimo anno. Il nodo più spinoso che bisognava risolvere era quello del finanziamento. E siccome non è stato trovato alcun accordo potrebbe restare un'utopia la riduzione dell'effetto serra da considerarsi dal 2020 in avanti.
E sarà sempre più difficile raccogliere i 100 miliardi di dollari che sono stati stimati per potere intervenire sulle industrie che oggi inquinano maggiormente l'Ambiente.
Ma chi la pensa diversamente è il ministro dell'Ambiente peruviano Miguel Pulgar Vidal, ritenendo si aver trovato una intesa apprezzabile. Il padrone di casa, al quale è spettato l'onore di presiedere la Conferenza come mediatore e presidente, ritiene che l'accordo, uscito dopo due settimane di estenuanti lavori, porterà sicuramente a dei risultati concreti e soddisfacenti, convinto che entro il primo ottobre 2015 tutti i paesi, così come è stato concordato e sottoscritto, forniranno i propri dati di riduzione delle emissioni di gas serra per dimostrare (con le dovute comparazioni) d'aver dato seguito al proprio piano d'azione per la salvaguardia dell'ambiente.
Intanto, molto ha fatto discutere e poco concludere circa la destinazione dei 10 miliardi di dollari che si trovano nel Fondo internazionale. In secondo piano è pure passata la discussione sulle conseguenze dell'ambiente "malato" che occorreva sottoporre all'attenzione dell'opinione pubblica. Comunque, secondo una delle ultime classifiche elaborate da chi si occupa di disastri ambientali imputabili esclusivamente alla mano dell'uomo al primo posto c'è Sumgayit (Azerbaijan) con un elevatissimo numero di tumori ed aborti spontanei.
Seguono Linfen (Cina), per le innumerevoli miniere di carbone, raffinerie ed impianti siderurgici che sono la causa della diffusione delle ceneri di carbone, monossido di carbonio ed ossido di azoto; Tianying (Cina), per l'estrazione del piombo il cui metallo è la causa di encefalopatie, disturbi mentali, sensoriali e ritardo mentale; Sukinda (India), le cui industrie scaricano nel fiume Brahmani -che attraversa la città- una considerevole quantità di rifiuti di cromo tanto da causare aborti spontanei, infertilità e malformazioni congenite; Vapi (India), la quale è stata considerata una delle regioni più industrializzate del paese ma allo stesso tempo una delle più inquinate dall'industria pesante.
A chiudere la black list (lista nera dei primi dieci paesi che inquinano maggiormente) figurano La Oroya (Perù), Derzhinsk e Norilsk (Russia), Chernobyl (Ucraina) e Kabwe (Zambia). Ricordiamo che nel vertice di Parigi del 2015 dovrebbe uscire un nuovo protocollo destinato a sostituire quello di Kyoto dal 2020.