Ogni anno in Giappone, da settembre a marzo, si assiste al massacro di decine e decine di delfini che vengono destinati sui banconi dei mercati per essere venduti al consumo umano. I più piccoli invece sono destinati nei delfinari dove vengono allevati. Questa è la pratica che unisce ogni anno molti pescatori giapponesi nella baia di Taiji, definita la "baia della morte", nella prefettura giapponese di Wakayama, a sud dell'isola. Un orribile mattanza che lascia indifferente il governo giapponese anche di fronte alle critiche che giungono da tutto il mondo.

Una pratica crudele

Questo tipo di pesca risulta molto crudele e agonizzante per i mammiferi. I pescatori spingono questi peponocefali, ovvero cetacei appartenenti alla famiglia dei delfinidi che vivono nelle acque tropicali del pianeta, verso una strettoia grazie all'uso di rumorosissimi pali metallici per intrappolarli con delle reti. Una volta intrappolati e spinti verso acque poco profonde vengono legati l'un l'altro per le pinne caudali e accoltellati. La scena risulta estremamente crudele perché i delfinidi possono impiegare fino a 30 minuti prima di morire per soffocamento o annegamento. Successivamente i cadaveri dei mammiferi vengono trasportati in alcuni capannoni e macellati. La loro carne viene destinata al mercato e venduta per essere consumata.

I cetacei più piccoli invece sono destinati ai parchi acquatici dove vengono allevati e istruiti. Questo massacro coinvolge spesso un numero esiguo di cetacei poiché la maggior parte di loro riesce a fuggire e a scappare.

Il film-documentario 'The Cove' contro la mattanza dei delfini

Una nuova mattanza è stata eseguita nella giornata di Giovedì 16 Gennaio documentata dai volontari della squadra "Cove Monitors" del Dolphin Project, organizzazione nata grazie a Richard "Ric" O' Barry, ex addestratore dei delfini e famoso per la serie Flipper.

Richard ha voluto mostrare le immagini di questa orribile pratica attraverso il film-documentario "The Cove" vincitore del premio Oscar. Le immagini così crudeli e le proteste da tutto il mondo non hanno fermato i pescatori dal continuare la loro pratica e nemmeno intimorito le istituzioni giapponesi indifferenti alle proteste.

L'agguato ad una stenella striata

Pochi giorni addietro al massacro del 16 Gennaio, i volontari del Dolphin Project hanno fotografato una stenella striata, un cetaceo odontoceto della famiglia dei delfinidi che vive nelle acque tropicali di tutti il mondo, che, una volta catturata, ha cercato di fuggire dalla rete nella quale era stata intrappolata. Nel tentativo di fuga è rimasta ferita gravemente contro una roccia perdendo molto sangue. Un sub l'ha seguita e l'ha agguantata trascinandola sotto un tendone per poi essere macellata. Le immagini scattate erano semplicemente orribile e i volontari che hanno documentato questa atrocità non sono potuti intervenire contro le proteste perché strettamente sorvegliati dalle autorità giapponesi e passibili di pene severissime in caso di intralcio e disturbo alle operazioni di pesca e caccia.