È ormai cosa nota l'inquinamento da plastiche del nostro ambiente e dei nostri mari. La plastica rappresenta più dell'80% dei detriti marini. Ed è altrettanto noto il danno ambientale che ne consegue. Si, perché i detriti di plastica si trovano ovunque, sia nelle acque superficiali che in quelle profonde. Sono oltre 700 le specie marine che ogni anno hanno a che fare con questo materiale. Da un recente studio condotto dall'Università di Exter (Regno Unito), è emerso che tutte le specie di tartaruga marina esistenti, purtroppo se ne cibano. Il team di ricercatori guidati dalla dottoressa Emily Duncan, ha trovato la plastica anche all'interno dell'organismo di giovani tartarughe marine lungo la costa orientale ed occidentale dell'Australia.

Lo studio

I ricercatori hanno esaminato 121 esemplari di tartarughe marine di specie diverse. Gli esemplari più giovani, toccavano più o meno tutte le età, dai piccoli appena schiusi fino ad individui con un guscio di circa 50 cm. Le specie considerate sono state 5: verde (Chelonia mydas), caretta (Caretta caretta), embricata (Eretmochelys imbricata), olivacea (Lepidochelys olivacea) e a dorso piatto (Natator depressus). Pressoché tutti gli esemplari avevano plastica nel loro organismo, ma non in egual quantità. Le tartarughe marine trovate lungo le coste orientali australiane, ossia quelle che si affacciano sul Pacifico, presentano infatti un quantitativo di plastica maggiore. Caso a parte in realtà, è rappresentato dalle tartarughe embricata.

Pare infatti che non vi sia presenza di plastica nel loro tratto gastrointestinale. Tuttavia, gli esemplari studiati sono solo 7 per cui il campione è troppo piccolo per trarre conclusioni al riguardo.

Il tipo di plastica

Analizzando i frammenti di plastica trovati sulle tartarughe marine del Pacifico, il team guidato dalla dottoressa Duncan, ha evidenziato per lo più particelle dure.

Queste, sono presumibilmente legate a prodotti usati nella quotidianità. Nelle tartarughe marine dell'Oceano Indiano invece, i frammenti erano fibrosi, forse derivati da corde o reti da pesca. Ad ogni modo, su entrambe le coste australiane i detriti plastici sono rappresentati principalmente da polietilene e polipropilene. Tali materiali sono talmente utilizzati che è praticamente impossibile individuarne le fonti.

La trappola evolutiva

Tutto questo rappresenta una vera e propria trappola evolutiva. Le tartarughe marine infatti, si sono evolute per svilupparsi in mare aperto. Subito dopo la schiusa, raggiungono le rive e si immettono nell'Oceano. Qui, dove i predatori sono piuttosto scarsi, seguendo le correnti, passeranno serenamente i primi anni della loro vita. Purtroppo però adesso esiste un predatore molto più grande: la plastica. I detriti plastici attanagliano infatti le correnti oceaniche frequentate dalle tartarughe. Non solo. Le correnti spingono rifiuti plastici e tartarughe marine verso delle vere e proprie discariche a cielo aperto. Ne è un esempio la Great Pacific Garbage Patch, una gigantesca isola di plastica galleggiante al largo del Pacifico.

Un’area persino più estesa della superficie degli Stati Uniti. Le tartarughe marine, una volta giunte qui, non avendo una dieta specializzata, se ne cibano. A volte, anche inconsciamente. Nutrendosi infatti vicino alla superficie, inghiottono grandi quantitativi di plastica. L'impatto è presto detto. Morte dell'animale per perforazione, ostruzione o lacerazione del tratto gastrointestinale. In individui giovani di tartaruga marina inoltre, porta malnutrizione e contaminazione chimica. Senza contare poi, gli esemplari che vi rimangono intrappolati. Quindi, se prima le tartarughe marine andavano incontro ad un mare aperto dove potevano adattarsi e vivere spensierate, adesso si dirigono verso un vero e proprio inferno che potrebbe avere impatti molto significativi sulle specie e sul numero di individui che ne fanno parte. Ridurre l'inquinamento ambientale non solo significa avere un mondo più sano e pulito, ma anche salvare la biodiversità.