In caso di separazione a chi rimane la casa coniugale edificata sul terreno di esclusiva proprietà di uno dei due coniugi, supponendo che abbiano optato per il regime di comunione dei beni?

Lo abbiamo chiesto all'avvocato Stefano Bettiol del Foro di Belluno. "Per rispondere a tale quesito è opportuno, innanzitutto, rispolverare il diritto romano - afferma Bettiol - e recuperare quel principio, ancora vivo nel nostro ordinamento, riassumibile nel brocardo "superficies solo cedit", ai sensi del quale il proprietario del suolo acquista, in via automatica, la proprietà di qualsiasi bene che venga edificato sopra di esso.

Tale principio, che prende il nome di "accessione" e che è sancito dall'art. 934 C.C., deve però coordinarsi con il regime di comunione legale, secondo il quale tutti gli acquisti compiuti dai coniugi in costanza di matrimonio si considerano beni comuni.
Quello che si deve capire, dunque, è se la casa costruita durante il matrimonio, con il denaro ed il sudore di entrambi i coniugi, rappresenti un bene della comunione legale o rientri, invece, nell'esclusiva titolarità del proprietario del terreno.
La giurisprudenza attuale, superando vetusti orientamenti di senso contrario, si è assestata sull'interpretazione data dalle Sezioni Unite della Cassazione, nella lapidaria sentenza n° 651 del 27.01.1996, ove si legge che: "La costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi, sul suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno di essi, appartiene esclusivamente a quest'ultimo in virtù delle disposizioni generali in materia di accessione  e, pertanto, non costituisce oggetto della comunione legale, ai sensi dell'art. 177, I comma, lett. b), cod. civ.".
Tuttavia - prosegue Bettiol - , il coniuge non proprietario, una volta intervenuta la separazione e scioltasi, di conseguenza, la comunione legale dei beni, non rimane sprovvisto di tutela alcuna, bensì allo stesso è riconosciuto il diritto di recuperare le somme sborsate per la costruzione di quell'immobile, nei cui confronti, invece, non è in grado di vantare alcun diritto di comproprietà.
Quello del coniuge non proprietario è un vero e proprio diritto di credito, pari alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione dell'immobile.
Con una puntualizzazione. Se le somme utilizzate per la realizzazione del fabbricato sono state attinte dalla comunione, si applicherà l'art. 192 comma 1 C.C., ai sensi del quale ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall'adempimento delle obbligazioni gravanti sui beni dei coniugi. D'altra parte, nel caso in cui nella costruzione sia stato impiegato denaro appartenente in via esclusiva all'altro coniuge, a quest'ultimo spetterà il diritto di ripetere le somme erogate sia per l'acquisto dei materiali che per la manodopera, secondi i principi della ripetizione dell'indebito, di cui all'art. 2033 c.c., il quale, in via generale, sancisce il diritto, per colui che ha effettuato un pagamento non dovuto, di vedersi restituire quanto sborsato.
E' chiaro - conclude Stefano Bettiol -  che il coniuge che pretenda di ripetere le somme spese, dovrà provare in modo puntuale di avere conferito il proprio apporto economico per la realizzazione della costruzione attingendo a risorse patrimoniali personali o comuni. 
Tuttavia, è altrettanto chiaro che, in sede processuale, la prova della provenienza dei denari impiegati per l'effettuazione delle opere, sarà, di fatto, assai ardua, per non dire diabolica".