Sette anni fa, in un lunedì che all'apparenza per molti sembrava una giornata come le altre, Giacinto Facchetti se ne andava nel paradiso del calcio ad insegnare ciò che lui aveva appreso in tenera età e poi insegnato con stile, garbo ed educazione.

Sì, perché è difficile immaginare Giacinto Magno lontano dal suo amato sport, quel mondo del pallone in cui aveva conquistato passo dopo passo successi e trionfi ed aveva dovuto affrontare anche qualche delusione, perchè no, sempre però nel rispetto delle regole. Un concetto, questo, che apparteneva in pieno a quel "gigante buono", che piano piano si era conquistato il rispetto di tutti: compagni di squadra, avversari e addetti ai lavori.

Il suo amico di sempre Massimo Moratti gli aveva offerto la presidenza dell'Inter, la compagna di una vita con la quale aveva dominato l'Italia, l'Europa ed il Mondo, e lui aveva accettato subito senza esitare neppure un istante. E, nonostante in molti se ne siano dimenticati, Facchetti ha trionfato anche come massimo dirigente: due Coppe Italia (2004/05 e 2005/06), due Supercoppe Italiane (2005 e 2006) ed uno scudetto (2005/06), che non ha bisogno di aggettivi benevoli. Semplicemente uno scudetto, impossibile da conquistare per molti anni soprattutto per cause esterne, quelle nascoste ancora oggi da persone che lavorano nel mondo del calcio e che non hanno voglia di scomodarsi per non perdere la propria poltrona.

Giacinto Facchetti desiderava un calcio in cui si combattesse ad armi pari, in cui l'arbitro poteva sì sbagliare ma con mezzi propri e non telecomandato da altri, in cui alla fine ci si potesse stringere la mano indipendentemente dall'esito della partita. Gli hanno tolto troppo presto la possibilità di vedere l'Inter trionfare dappertutto, lui sì che ne sarebbe stato orgoglioso.

Eppure Giacinto è come se in questi anni avesse sempre guidato l'Inter, da lassù, proteggendola e sostenendola in ogni momento possibile. Perché i campioni veri, sinceri, leali, onesti, non muoiono mai.