Si dice che per battere un nemico, bisogna conoscerlo. Se è davvero così, è un guaio. Perché l’appannamento mostrato dalla Juventus nelle ultime settimane si è manifestato attraverso sintomi inediti, o quasi. È come se il tracollo di Genova fosse stato derubricato come malanno di stagione che, non curato a dovere, ha portato alla prova non del tutto convincente di Doha, dove la Juve ha giocato 35’ su ottimi livelli, per poi concedersi una lunga pausa e tornare a dominare durante i supplementari. Durante le vacanze natalizie l’ambiente bianconero ha provato a leccarsi le ferite a furia di auto-esortazioni, salvo poi ricadere al primo vero esame, quello di Firenze, in una gara molto simile per sviluppo tattico a quella di Marassi.

I motivi del Max furioso

Prima di provare a individuare le soluzioni, ci si è preoccupati di trovare i colpevoli. Anzi, “il”, individuato nell’allenatore. Colpa, anche, del doppio sfogo del mister, che a Doha e a Firenze, tra calci nel sedere minacciati e proteste smodate, ha dato in effetti inediti segnali di nervosismo. In società non hanno gradito, ma forse qualcosa ha scatenato la tensione di Allegri. Qualcosa che può rispondere al macro-nome “mercato”, ma che va declinato in diversi modi. Nel post-gara di Firenze Allegri è stato chiaro: “Pjanic era acciaccato, ma non avrebbe comunque giocato dall’inizio”. Più di un tifoso è trasecolato: “Ma come, il giocatore più forte (sul piano tecnico) acquistato in estate resta fuori in una delle gare più difficili della stagione?”.

Esterni cercansi

Il palleggio del bosniaco sarebbe certo servito alla squadra di fronte al pressing della Viola, ma non bisogna dimenticare che in campo si va sempre in 11 e che nella formazione titolare c’erano già Cuadrado, Dybala e Higuain. Il messaggio allegriano è chiaro: “Tutti e 4 insieme dall’inizio, mai”. Il colombiano è l’unico del poker d’assi che può essere considerato un’alternativa, ma la sua presenza era indispensabile vista la squalifica di Lichtsteiner e l’assenza di Dani Alves.

A destra non c’erano alternative, l’unica era allargare Barzagli in un 4-3-1-2 che avrebbe portato Chiellini o Asamoah a vedersela in fascia con Chiesa. Non è normale che una capolista si presenti a una gara così senza terzini, ma dall’altra parte è innegabile che una linea di centrocampo così muscolare abbia isolato il Pipita per almeno 70’.

Paulo, batti un colpo

La carta vincente della passata stagione era stata la posizione di Paulo Dybala, inventato “alla Tevez” tra le linee. Il raccordo tra centrocampo e attacco e la libertà di muoversi alle spalle di Mandzukic avevano creato una coppia spettacolare e trasformato la Juve in una macchina da gol. Adesso è tutto diverso, per due motivi: in primo luogo perché Higuain ha caratteristiche molto diverse da Marione, è meno mobile e soprattutto meno forte di testa, il che porta la Juve a perdere molte seconde palle, troppo spesso preda degli avversari. Secondariamente non si possono dimenticare gli scricchiolii della difesa e di Marchisio: la BBC e il Principino sono lontani dalla miglior condizione, aspetto che condiziona anche il resto del centrocampo (Khedira), più portato a difendere che a inserirsi.

E quindi, con il Pipita ad aspettare, ecco che la squadra si allunga.

Campagna acquisti ridimensionata?

Come fatto intuire da Chiellini a Firenze, Pogba non è stato sostituito per caratteristiche e Dybala è e resta di fondo un centravanti, che in condizioni normali dovrebbe agire più vicino possibile alla porta. La coesistenza con Higuain non ha ancora dato frutti e il dialogo tra i due quasi assente. Anche per questo la corsa al 6° scudetto si preannuncia meno semplice del previsto, ma forse è meglio così, perché sotto pressione da sempre la Juve rende di più. Quanto al sogno Champions, non sarebbe male dotarsi di un centrocampista tecnico e muscolare insieme e di una seconda punta. Obiettivi perseguibili in estate. Un buon motivo per vivere un’altra stagione con il Conte Max in panchina.