Il poeta e guerriero giapponese Imagawa Royshun nel quattordicesimo secolo d.c. in relazione alla via del guerriero, ovvero alla definizione delle caratteristiche fondamentali per essere ritenuto tale, affermò che “Senza conoscere la via della cultura, non ti sarà possibile raggiungere la vittoria in quella marziale”. Si voleva significare che per elevarsi e per ottenere il risultato voluto nell’arte esercitata, fosse essenziale al contempo potenziare la ricerca culturale ed equilibrare le abilità di guerriero con comportamenti ed inclinazioni alla gentilezza ed al rispetto anche nella sconfitta.

Il calcio italiano

Evidentemente siffatto equilibrio non appartiene al calcio italiano. Le polemiche che da tempo immemore si susseguono periodicamente riguardo ai torti arbitrali fanno parte ormai del substrato culturale di chi opera nel mondo del pallone.

Gli esercizi ginnici, le sedute di allenamento e gli studi tattici compongono grande parte del lavoro settimanale di una squadra; giustamente gli atleti sono spronati a rafforzare le proprie resistenze e capacità fisiche, oltre alle conoscenze tecniche del gioco, che progrediscono velocemente e sono oggetto di studio e applicazione.

Se quindi la via del guerriero/atleta è percorsa ordinatamente e costantemente, lo stesso non può dirsi della via della cultura, la quale non è insegnata né professata, se non in sporadiche eccezioni.

Anzi.

Spesso, invero, si assiste in campo ad un continuo lamentarsi, a proteste d’ogni tipo, a comportamenti, talvolta palesemente sleali, che hanno lo scopo di condizionare la direzione arbitrale della partita.

Gli arbitri, ai quali è chiesto di essere imparziali e di applicare il regolamento in situazioni più o meno concitate, subiscono perennemente pressioni irrispettose durante le partite, e il più delle volte i primi ad uscire fuori dalle righe sono proprio gli allenatori, i quali invece che essere esempio di buona condotta finiscono per essere cattivi insegnanti dei loro giocatori e di riflesso di tifosi e media che ne recepiscono immediatamente i comportamenti, alimentando i vagiti e le grida di scandalo e vergogna.

Il caso

Quello che è successo a Torino in occasione di Juventus-Napoli non sfugge a questa logica. I concetti di sudditanza e di torto, abusati in certi ambienti per giustificare le sconfitte, sono penalizzanti per l’intero movimento; e nascono proprio dalla mancanza di cultura calcistica, che non si compone solo di allenamento e sacrificio settimanale, ma anche e soprattutto di rispetto per tutti i protagonisti del gioco, così per l’avversario che per l’arbitro.

I veleni e le polemiche che si generano dopo partite come quella tra i bianconeri di Torino e il Napoli non fanno altro che inquinare la poetica che contraddistingue il gioco che del calcio, sogno di milioni di bambini e palcoscenico di crescita personale per molti adolescenti, al di là dell’effettivo raggiungimento dello status di professionista.

È auspicabile che allenatori e società associno alla preparazione atletica una parallela preparazione culturale, di modo che si possa dare senza dubbi né pene merito ai vincitori e onore ai vinti.