Carlo Tavecchio fa 'melina' e decide di prendere tempo in attesa di sviluppi. L'entrata in tackle di Mediaset è di quelle che fanno male, ma era nell'aria. La decisione del Biscione televisivo di non presentare offerte all'asta dei diritti tv del Calcio italiano per il triennio 2018-2021 ha fatto saltare il 'banco', costrigendo il Commissario di Lega a non assegnare i citati diritti a nessuno dei concorrenti che hanno effettivamente avanzato le loro offerte. Il motivo ufficiale, con tanto di comunicato stampa, è che "le offerte non rispecchiano il valore reale del calcio italiano".

Per la Lega, la base d'asta è 1 miliardo di euro e non un centesimo in meno. In realtà, in questo momento i vertici del massimo campionato non sanno che pesci prendere e si sono dati tempo fino a novembre o dicembre, ossia entro il termine ultimo di sei mesi dall'inizio della stagione 2018/2019.

Il 'pugno duro' di Mediaset

La decisione del gruppo televisivo di proprietà di Silvio Berlusconi non ha sorpreso nessuno. Mediaset è stata coerente con l'esposto avanzato in precedenza presso l'Autorità Garante della Concorrenza e l'obiettivo, praticamente raggiunto alla luce degli sviluppi immediatamente successivi, era quello di giungere alla formulazione di un nuovo bando. Secondo il punto di vista dell'azienda televisiva lombarda, "la formulazione dell'invito a presentare offerte è totalmente inaccettabile, perché abbatte ogni reale concorrenza e penalizza la maggior parte dei tifosi italiani, costringendoli ad aderire ad un unico pacchetto commerciale".

Prima della decisione di Tavecchio di considerare nulla l'asta ed adoperarsi per un nuovo bando, Mediaset non aveva escluso il ricorso a vie legali ed aveva comunque puntualizzato che quanto accaduto non andava ad intaccare la propria offerta calcistica per la prossima stagione. Il Biscione non è l'unica azienda che si è chiamata fuori dall'asta: anche Tim non ha avanzato alcuna offerta.

Le uniche due offerte

Le offerte si sono pertanto ridotte a due. Da un lato Sky che per due pacchetti che comprendono, praticamente, l'intero massimo campionato ha presentato un'offerta complessiva di 440 milioni di euro. Dunque, nemmeno la metà della base d'asta, decisamente inaccettabile per la Lega. "Abbiamo fatto la nostra parte - si legge in un comunicato diffuso da Sky Italia - con un'offerta vicina al mezzo miliardo di euro.

Se anche gli altri avessero effettuato offerte anche solo pari alla base d'asta, la Lega avrebbe avuto a disposizione il budget desiderato". L'altra offerta è arrivata da Perform, ma esclusiva ai due pacchetti web. Tra le dichiarazioni, a destare clamore come spesso accaduto in passato è stata quella di Massimo Ferrero, vulcanico patron della Sampdoria. "A questo punto - ha detto - perché non costruire un canale della Lega. Non sono l'unico a pensarla in questo modo e mi sembra una soluzione rispondente alle attuali logiche di mercato dei broadcaster".

Un giocattolo rotto

Al di là di rigide prese di posizione, l'attuale querelle imbarazza la Lega che si trova dinanzi ad un sistema circondato da un nodo scorsoio.

Il campionato più bello del mondo, ciò che era diventata la serie A italiana negli anni '80 e '90 dopo la riapertura delle frontiere, non esiste più e questo è un dato di fatto. Oggi il massimo campionato del Belpaese è un torneo complessivamente mediocre che non regge più il confronto, sia dal punto di vista della cifra tecnica, sia sul versante economico, con la Premier Legue inglese, la Liga Spagnola e la Bundesliga tedesca. Gli introiti provenienti dagli incassi delle partite sono inferiori rispetto a quelli dei campionati citati, ma anche nel paragone con la Ligue francese. Gli stadi di casa nostra, a parte qualche 'isola felice', sono fatiscenti e necessitano di ristrutturazioni. Evidente che i diritti tv, oggi, sono il maggiore introito del calcio italiano (circa il 50 % del giro d'affari complessivo che gravita attorno alla serie A) e, pertanto, per la Lega è praticamente obbligatorio scendere a patti con le emittenti.

Ma anche in questo caso, i ricavi sono inferiori rispetto ai tornei più importanti di Inghilterra, Spagna e Germania. Il quadro è abbastanza chiaro e spiega, senza mezzi termini, il motivo per cui l'eldorado del calcio non risieda più in Italia da diversi anni. La Premier League in tal senso è inarrivabile, basti pensare che i diritti TV per il triennio 2016-2019 sono stati ceduti per un importo superiore ai 10 miliardi di euro.

Lega: i criteri contestati

Il bando progettato dalla Lega e contestato da Mediaset puntava, in realtà, a far lievitare gli introiti relativi ai diritti tv, stabilendo criteri di assegnazione diversi: il principale era quello di vietare la concessione delle stesse gare a più gruppi televisivi.

In questo modo, concedendo l'esclusiva assoluta per ogni determinato pacchetto, il costo sarebbe salito. Ma l'approdo non c'è stato, la nave è affondata prima di entrare in porto. Ci si chiede in che modo la Lega possa rivedere il bando, perché a parte la confermata base d'asta si riparte da zero. Ed il calcio italiano somiglia tanto al famoso cane che si morde la coda.