Tempo di amarcord, diventa quasi naturale perché la voglia di calcio in Italia è tanta, ma non ci sono certezze sulla ripresa. La storia però nessuno la può cambiare e quella di Demetrio Albertini è legata a doppio filo con il Milan di cui fu un punto di riferimento insostituibile per anni. Da Sacchi a Zaccheroni, passando ovviamente per Capello, il centrocampista brianzolo ha vissuto l'epopea di una squadra che ha scritto pagine indelebili del calcio italiano e mondiale, capace di costruire un ciclo lunghissimo attraverso giocatori diversi, indice di un progetto vincente che partiva da solide fondamenta economiche oltre a spiccata competenza calcistica.

Albertini ha aperto la sua valigia dei ricordi in una lunga intervista concessa a calciomercato.com.

'Ho vinto tre Champions, ma una sola sul campo'

Nella sua lunga militanza in rossonero, Demetrio Albertini ha vinto 5 scudetti e 3 Champions League, lui ci tiene a sottolineare che i titoli continentali sono 3 anche se uno solo di questi porta la sua firma. "I due del Milan di Sacchi li vissi da ragazzo, ma ero già in rosa. Dico sempre che di due Champions vinte ho la foto negli spogliatoi e di una quella sul campo. Normale però che la 'mia' Champions sia quella del 1994, è stato il mio anno da incorniciare in cui ho giocato anche la finale dei Mondiali". Vittoria indimenticabile contro un Barcellona di fenomeni allenato da Johan Cruyff, strafavorito alla vigilia, ma schiantato sul campo dai rossoneri con un travolgente 4-0.

Milan che oltretutto affrontava quel match senza due perni in difesa, mancavano Costacurta e Baresi.

'Quella di Cruyff non era presunzione, ma un tentativo di metterci pressione'

Di quella partita di tifosi rossoneri ricordano la 'maschera' di Cruyff, la sua espressione al fischio di chiusura dopo che il Barcellona aveva subito una delle più severe lezioni di calcio della sua storia.

Una soddisfazione in più considerato che l'ex 'profeta del gol' aveva ostentato sicurezza nei giorni che avevano preceduto il match, lanciando proclami piuttosto spregiudicati. Era il Barcellona di Romario, Koeman, Guardiola e Stoichkov, ma sul versante rossonero c'erano Maldini, Donadoni, Boban e Savicevic. "Non era presunzione da parte loro, ho avuto modo di conoscere Johan Cruyff ed ho avuto la fortuna di passare diverse serate con lui.

Era una forma di spregiudicatezza nel tentativo di metterci pressione perché sapeva bene chi affrontava, voleva metterci in difficoltà, ma noi siamo stati una squadra nonostante le assenze pesanti. Quello era un Milan di grandi giocatori e grandi uomini".

I grandi compagni di squadra

A proposito di fuoriclasse, Albertini ne ha avuti tantissimi come compagni di squadra, ma non ha dubbi su chi sia stato il più forte. "Marco Van Basten era un talento unico, ha vinto tre palloni d'oro chiudendo la carriera a soli 28 anni, l'infortunio è stato il suo plus negativo. Però ho giocato anche con Weah, Shevchenko, Vieri, Pippo Inzaghi, Signori, Baggio, tutti attaccanti fortissimi". Uno sguardo ai 'numeri 10', oggi quelli 'puri' stanno diventando una rarità.

"Li posso elencare: Gullit, Donadoni, Savicevic, Boban, Rui Costa. Ne ho avuti abbastanza numeri 10, ma non ne cito uno in particolare perché non voglio scontentare gli altri. Poi dipende cosa s'intenda per '10' perché a volte era una seconda punta, una volta il fantasista e altre volte era semplicemente quello più talentuoso". Boban e Savicevic in particolare non hanno mai fatto il '10' nel senso stretto del termine. "Al Milan hanno interpretato diversi ruoli, mi ricordo che Savicevic partiva largo a destra e poi entrava con la sua qualità dove non aveva problemi nell'uno contro uno. Ho visto pochi giocatori coraggiosi e spregiudicati come lui".