Il Bayern Monaco batte 1-0 il Psg e alza al cielo di Lisbona la sesta Champions League/Coppa dei Campioni della sua storia. Per uno strano scherzo del destino è un francese, proveniente dal vivaio della squadra di Parigi, a mettere la firma sulla vittoria dei bavaresi: Kingsley Coman. Il suo è l’ultimo gol della stagione più lunga e travagliata del calcio nel dopoguerra, conclusasi con uno spettacolo più che degno nella partita europea più importante.

È stata una finale inedita, quella giocata ieri sera. Da una parte i tedeschi del Bayern Monaco, all’undicesima finalissima nella massima competizione europea, dall’altra i francesi del Paris Saint-Germain, assoluti debuttanti.

È stata poi la prima finale di Champions League senza pubblico e, infine, la prima ad andare a concludere un mini-torneo, una Final Eight (come viene chiamata in altri sport), di partite secche in campo neutro. Le aspettative erano alte, ci sono state molte conferme, qualche piacevole sorpresa ma anche qualcuno al di sotto delle aspettative: ecco i top e i flop della finale di Champions League.

I top della finale: chi ha convinto

Mai nessuna squadra aveva vinto tutte le partite disputate nella massima competizione continentale. Il Bayern Monaco fa 11 su 11 vincendo la sua undicesima finale (come il Milan e dietro soltanto al Real Madrid). Alle sei vittorie nel girone si sono aggiunte le due negli ottavi contro il Chelsea, quella clamorosa contro il Barcellona per 8-2 ed infine, prima di ieri sera, il 3-0 rifilato in semifinale al Lione.

Percorso netto dalla prima all’ultima gara della competizione.

Il nome consegnato al mito calcistico è sicuramente quello di Kingsley Coman. Parigino di nascita, entrato nel settore giovanile del PSG a soli otto anni, è stato il debuttante più giovane della storia della Ligue 1 a soli 16 anni 8 mesi e 4 giorni, per poi esser lasciato andare, da svincolato, alla Juventus e da lì il salto al Bayern Monaco.

Il gol di testa non solo ha deciso la finale che, causa pandemia, rimarrà tra le più ricordate della storia, ma è stato anche il 500° gol dei bavaresi nella competizione, nonché il 159° di una stagione infinita in cui Lewandowski e compagni hanno triturato gli avversari a suon di reti.

Thiago Alcantara do Nascimento, ai più noto come Thiago Alcantara, o più semplicemente Thiago.

Non si direbbe che il talento spagnolo fosse all’ultima, presunta, partita in maglia bavarese. Centro gravitazionale della mediana tedesca, calamita infallibile di palloni, visionario, agguerrito, predicatore di un calcio nuovo volto ad esaltare la tecnica individuale applicata all’utile collettivo. La dimensione estetica del gesto tecnico atta a procurare spazio, guadagnare tempistiche, favorire la superiorità numerica: Thiago Alcantara, figlio di Mazinho, ha riportato il gioco alla sua essenziale utilità giocando soltanto di prima o, massimo, a due tocchi. Superlativo interprete del ruolo.

Manuel Neuer. Dopo qualche anno di insensate ed ingiuste critiche ricevute, il portierone tedesco è tornato ad essere considerato il numero uno al mondo.

Non fosse altro per la vera e propria rivoluzione concettuale del ruolo di portiere della quale ha dato saggio anche ieri sera. Nessuna parata impossibile, ma un modo di coprire la porta eccezionale: la così detta ‘croce iberica’, mutuata dal calcio a 5, che Neuer ha reso estremamente efficace anche in quello ad 11. Il portiere si posiziona con busto e spalla opposti alla posizione della palla, rivolti verso terra per favorire la velocità di piegamento del ginocchio, evitando il tunnel.

Un diavolo calcistico a cui, scherzo del destino, è stato dato il nome Angèl. Un malinconico e caracollante tutto-campista, con un fisico solo apparentemente non adatto a predicare calcio ad alti livelli. Uno spaghetto (‘El Fideo’) dall’etereo tocco di palla.

È stato il singolo più "uomo squadra" in una squadra di solisti e risponde al nome di Angèl Di Maria. E non può essere un caso che la triste e buia notte del Psg sia iniziata con il suo cambio.

Il flop della finale: chi ha deluso

Questa volta, a differenza delle sette precedenti (quattro eliminazioni ai quarti e tre agli ottavi da quando Al Khelaifi è alla guida del club), il Paris Saint Germain è andato veramente vicino a vincere la coppa. Gli 1,2 miliardi spesi per arricchire l’album di figurine all’ombra della Tour Eiffel non sono bastati.

Minuto ’79: la lavagnetta del cambio lampeggia in colore rosso il numero 11. Molti sono rimasti stupiti a vedere il cambio: esce Angel Di Maria ed entra Choupo-Moting.

L’argentino, fino a quel momento il migliore dei suoi, aveva appena messo due volte Marquinhos solo davanti a Neuer con passaggi che solo lui può comprendere, immaginare e porre in essere. Eppure esce. Tuchel lo richiama, provando ad aumentare il peso offensivo con un Choupo-Moting che poi sbaglierà il gol del pareggio al 92° minuto.

Tutti si aspettano il massimo quando in campo c’è Killian Mbappé. Eppure il talento francese, per una sera, ha deluso le aspettative. La più ghiotta delle occasioni del Psg capita fra i suoi piedi nel primo tempo e lui la sciupa calciando con poca cattiveria dal centro dell’area. Un passaggio a Neuer che lo estromette mentalmente dalla partita. Nel secondo tempo non riesce più ad accendersi.