Il mondo continua a piangere la scomparsa tanto prematura quanto inaspettata di Robin Williams, con tutta probabilità l'attore più amato nel panorama del grande Cinema. A trascinarlo sull'orlo del baratro una forma di depressione che è persistita da molto prima, provocando delle crisi già in passato. La più nota è quella che ha condotto Robin sulla strada dell'alcol e delle droghe; sostanze assunte non per debolezza, o voglia di sentirsi "invincibili", come non sempre ma molto spesso accade in una società corrotta da vizi, tentazioni e desideri di ogni tipo, soprattutto irrealizzabili.

Nel caso specifico, il desiderio del tanto rimpianto mito dello spettacolo altro non era che trovare, seppur nella disperazione, una via d'uscita rispetto ad un male oscuro che non perdona e che avvolge le proprie vittime in un alone di mistero nei confronti dell'esterno, e che, internamente, corrode l'animo umano tendendo ad azzerarlo, facendo avvertire la propria vita vuota di ogni cosa e di ogni significato; volendo aggiungere inoltre come sia uscito comunque da quest'ultima strada, i cui passaggi non facevano altro, al contrario, di acuire il mal di vivere. Tanto più risulta impressionante assistere forzatamente ad un triste epilogo che ha coinvolto Robin Williams, la cui vita, al di là di ogni percezione, avrebbe dovuto essere piena, di qualsiasi cosa, dai successi professionali (tra i quali non dimentichiamo il premio Oscar nel '90 per la sua magistrale interpretazione in "L'attimo fuggente" del 1989, ma ogni suo film meriterebbe parimenti una citazione), a, non da ultimo, il suo legame alla famiglia.

Su quest'ultimo aspetto, in evidenza, come già fatto notare dalla generalità dei mass-media, il rapporto di una profondità particolare, che si potrebbe definire quasi una simbiosi, con la figlia Zelda (il nome scelto dal padre, autentico videogamer, per la sua passione verso un cult quale "The Legend of Zelda"). Williams rivolge a lei gli auguri di tutto cuore per il suo compleanno, e lo fa tramite social network, dinanzi ad una marea di fan, solamente lo scorso 25 luglio.

Il suo caso ci lascia molti, troppi interrogativi, incrementati anche dalla dichiarazione della moglie su un'altra malattia di Robin, il morbo di Parkinson. Sarebbe stata forse questa a farlo sprofondare ulteriormente, tanto da impedirgli ogni risalita. Ma è da notare come lo stesso Robin Williams, con un peso enorme, forse inevitabilmente schiacciante quale quello di cui era affetto, ha proseguito con la sua carriera mostrando sempre il vero e unico lato di sé, di uomo e di impeccabile professionista, in grado di far adorare a chiunque il cinema segnato dalle sue interpretazioni, con una comunicabilità dei personaggi a dir poco fuori dal comune, con emozioni tali da penetrare l'attenzione e coinvolgere nelle trame cui il personaggio di volta in volta si trovava ad operare.

Robin era così, era tutti i suoi personaggi messi insieme: il loro modo di affrontare la vita, con combattività, irrefrenabile entusiasmo, saggezza, ma anche ilarità e, per quando serve, un'opportuna dose di stravaganza; era questo lo stile, il modo di vivere da egli sentito, voluto ed adottato come esempio, era ciò che comunicava alla sua platea, al suo pubblico. E a noi, ovvero il suo pubblico, piace ricordarlo esattamente così, come l'attore e l'uomo di inestimabile valore che è sempre stato, e, ricorrendo all'identificazione cinematografica, come il "capitano" de "L'attimo fuggente", salutandolo e ringraziandolo come i suoi allievi nel film. La depressione, malattia invisibile, ma avvertita al punto di contrastare la natura dell'individuo, avrà oscurato la sua persona interiormente, compreso il suo amore per la vita, in concomitanza con la malattia fisica di cui si è diramata ultimamente la notizia, ma nessuna malattia è mai riuscita a cancellare né l'icona, né tantomeno l'autentica persona di Robin Williams.