I fatti sono emersi a conclusione di indagini svolte dall'Oios, il servizio d'investigazione interno delle Nazioni Unite, e risalgono al periodo tra il 2008 e il 2013, soprattutto durante le missioni in Congo, in Liberia, Haiti, Sudan e Sud Sudan.
Il documento, le storie
Questi casi, denunciati tramite interviste, sono almeno 480 e un terzo delle vittime aveva meno di 18 anni, rivela un documento datato 15 maggio e reso pubblico dall'Associated Press. Ad Haiti 231 persone hanno ammesso di aver avuto rapporti sessuali con i peacekeepers in cambio di cibo, scarpe, vestiti, gioielli, biancheria intima, profumi, cellulari, televisioni e, a volte, anche laptop.
Ma chi si rifiutava, subiva ricatti. A Monrovia, capitale della Liberia, più di un quarto della popolazione femminile ha avuto relazioni sessuali con i Caschi Blu dell'Onu, dice un'indagine fatta su 489 donne. Il documento choc non accusa solo i militari, ma anche i civili: essi costituiscono il 17% del personale delle Nazioni Unite, ma sarebbero accusati del 33% di casi di violenza. L'ultimo scandalo sui Caschi Blu e gli stupri è venuto alla luce un mese fa, quando dei soldati francesi sono stati accusati di aver abusato anche di bambini di nove anni.
Test del Dna
Le Nazioni Unite hanno già iniziato ad offrire test di paternità per i figli che sarebbero nati da quegli abusi, i cosiddetti "peacekeepers babies".
Così, spiega il capo dei diritti umani dell'organizzazione, Zeid Raad al-Hussein, questi bambini, che vivono in una situazione economica disperata, potrebbero ricevere qualche aiuto, dopo aver scoperto chi è il loro padre biologico - quindi anche chi ha abusato delle loro madri -. Il test non è per ora obbligatorio e i Paesi che hanno inviato Caschi Blu potrebbero non essere d'accordo, ma un altro rapporto Onu propone la creazione di una banca dati del Dna per tutti i peacekeepers. Lo scandalo degli stupri da parte dei Caschi Blu è davvero un duro colpo per l'onorabilità delle Nazioni Unite, già in crisi agli occhi di molti.