Mamma ma donna. Così ha deciso di passare la notte con cinque uomini per lasciarsi tutto alle spalle e provare un po' di gioie mai avute dall'altro sesso. La donna, infatti, era divorziata da un uomo che poi si è rivelato violento. Dopo la serata però si è sfogata sul giornale inglese 'Sun', rivelando come la sua reputazione ora sia in pericolo. "La gente inizia a pensare che sono una donna troppo mondana ma sono giovane e dopo una vita difficile voglio tornare a divertirmi", dichiara la giovane inglese.

Le femministe americane lo chiamano slut-shaming, l'atto di colpevolizzare una donna solo per avere una vita sessuale contraria agli stereotipi sociali che impongono alle donne di non essere bramose di erotismo. Stessi dettami che hanno generato il mito della verginità femminile come valore di purezza indiscutibile. Qualche settimana fa, questo tema è stato affrontato sull'Huffington Post, versione americana, da Leora Tanenbaum che scrive così: "Lo slut-shaming è sessista perché solo le ragazze e le donne sono chiamate a controllare la loro sessualità, reale o presunta; i ragazzi e gli uomini vengono congratulati, a parità di condotta. Questa è l'essenza della doppia morale sessuale: i ragazzi saranno ragazzi, e ragazze saranno troie".

L'autrice del libro "I Am Not a Slut: Slut-Shaming in the Age of the Internet", parla di un fenomeno frequente, subìto anche da donne diventate celebri proprio da scandali sessuali, come Monica Lewinsky. Le aspettative sulle donne vogliono che siano sexy per forza ma non troppo. "Lo slut-shaming è più dannoso di semplici insulti - anche se essere insultate pubblicamente in sé può essere traumatico, come i suicidi di ragazze vittime di slut-shaming attestano. Una volta che una ragazza o una donna viene considerata una "sgualdrina", può diventare anche bersaglio di violenza sessuale. E se viene stuprata, le può essere assegnata l'etichetta di "sgualdrina" per giustificare il carnefice. La ragazza stuprata a una festa a Steubenville, nell'Ohio nel 2013 è stata calunniata da sconosciuti e coetanei su Twitter, Facebook, Instagram e YouTube; hanno trovato una ragione nell'orrendo crimine solo assegnando alla ragazza l'etichetta di "sgualdrina alcolizzata", conclude la Tanenbaum.

In Italia la definizione di slut-shaming non esiste ma il fenomeno è diffusissimo. Recente il caso di un gruppo assolto dall'accusa di stupro che per rafforzare la loro innocenza hanno riferito che la vittima non poteva essere stata stuprata perché "in paese era nota per le sue libertà sessuali". Il fatto sarebbe accaduto nel 2008 a Fortezza da Basso, da parte di 6 ragazzi che, secondo la denuncia della vittima, l'avrebbero fatta ubriacare per poi stuprarla. Dunque, colpevoli o meno, è sufficiente dichiarare in tribunale che le vittima "era una facile" per dimostrare la propria innocenza?

Altro caso che fece clamore è quello legato al suicidio di Carolina Picchio, 14enne di Novara suicidatasi nel 2013 per bullismo. L'adolescente ha continuato a ricevere insulti anche dopo la sua morte, così rivela la trasmissione Lucignolo che ha dedicato un servizio al terribile caso di bullismo, intervistando la madre. Carolina era stata molestata e filmata durante una festa da un gruppo di balordi che hanno approfittato in un momento in cui era un po' brilla. Poco dopo il video è finito in rete e la ragazza è stata bersaglio di insulti a sfondo sessuale. E ancora, il caso avvenuto a Montalto di Castro, quando tutto il paese accusò una ragazza di aver provocato i suoi stupratori, aiutati anche dal sindaco che pagò loro un avvocato difensore.

In realtà, affinché la parità venga raggiunta, si dovrebbe comprendere che lo slut-shaming è una discriminazione ingiusta, poiché le donne hanno diritto all'integrità della propria vita privata e intima.