Un momento prodromico alla separazione è rappresentato dal fenomeno sociale definito separazione di fatto, termine che a sua volta rimanda alla situazione in virtù della quale due coniugi che sono intenzionati a separarsi, vivano ancora sotto lo stesso tetto. In tal caso, è frequente che gli stessi decidano di creare due realtà autonome all'interno della stessa abitazione (ciò che viene ancora definita come residenza familiare). Spesso alla decisione di separarsi non consegue sempre una nuova vita lontana e soprattutto distinta dalla vita precedente; tra le motivazioni di questa lentezza rientra senza dubbio il fattore economico, elemento cruciale in qualsiasi decisione che comporti un cambiamento.
La Cassazione, con l'ord. n. 20469/15 del 12.10.2015, ha stabilito che in una siffatta circostanza (coniugi che vivono da separati sotto il medesimo tetto), non si ravvisa la fattispecie dell'abbandono del tetto coniugale. Gli ermellini sono molto chiari sulla questione, così come lo sono stati nel caso opposto: moglie che convive con un altro uomo.L' ipotesi dell'abbandonoricorre nel caso in cui uno dei due coniugi decida di non far più ritorno presso l'abitazione; e in caso di mancanza di validi motivi, il giudice gli attribuisce l'addebito, ossia, la responsabilità della rottura del matrimonio.
Il caso
Nel caso di specie, oggetto dell'emissione della suddetta ordinanza, i due coniugi residenti in una villa, dunque in una casa abbastanza grande, hanno deciso di attribuirsi fattualmente rispettivamente il primo e il secondo piano del complesso.
La volontà di vivere da separati in casa, non può essere condizionata e deve maturare da una scelta meditata e consapevole dei soggetti interessati. Ma, ai fini di un riconoscimento giuridico, la Cassazione, afferma che la situazione così come verificatasi sul piano sociale, non può dal punto di vista del diritto, qualificarsi come abbandono della residenza coniugale.
Risulta chiara la volontà di privilegiare innanzitutto la loro decisione e di attribuire quella libertà di scelta che è prerogativa di ogni individuo, ma ci sono interessi preminenti (come il matrimonio) che ancora non cedono il posto ad una assoluta discrezionalità dei cittadini. Stesso ragionamento può ravvisarsi nel caso simile,della qualificazione di lavoratore subordinato del convivente che lavora per il partner.