Seria preoccupazione da parte della comunità internazionale per l'intensificazione delle violenze in Burundi. Centinaia di persone sono morte dallo scorso aprile, quando cominciò la protesta contro il piano del presidente della repubblica Pierre Nkurunziza di essere eletto per un terzo mandato, cosa poi avvenuta. Sia l'ONU che varie associazioni per i diritti umani condannano le violenze perpetrate da polizia ed esercito contro gli oppositori del governo.

Tensioni interne e col Ruanda

A causa delle violenze è cominciato un esodo di massa, decine di migliaia di persone cercano di lasciare il paese, in molti hanno già trovato rifugio in Congo, Ruanda e Tanzania.

Le vittime sono soprattutto oppositori della etnia dei tutsi. Il presidente del vicino Ruanda, Paul Kagame, ha criticato la politica di governo del Burundi, lanciando un appello perchè si evitino violenze etniche simili a quelle che negli anni novanta sfociarono in genocidio. Il presidente Nkurunziza non è d'accordo a negoziare con l'opposizione verso l'ipotesi di un governo di transizione per delle libere elezioni, al contrario alcuni ministri del suo gabinetto hanno incitato la morte per gli oppositori e il saccheggio delle loro proprietà. Durante le proteste le persone vengono fotografate, poi identificate ed infine prelevate nelle loro case dalle forze di sicurezza, torturati e uccisi.

Imparare dagli errori del passato

Il mondo intero non può rimanere insensibile a ciò che sta succedendo in Burundi, memore soprattutto del genocidio avvenuto nel vicino Ruanda circa venti anni fa. Il segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon ha sottolineato l'importanza di intensificare tutti gli sforzi per trovare una soluzione politica alla crisi in Burundi, e ha invitato tutte le parti, comprese le autorità nazionali, la società civile e l'opposizione, siano essi in Burundi o all'estero, per porre fine immediatamente alle violenze. La speranza è che alle parole seguano i fatti, cosa che purtroppo non è avvenuta in analoghi conflitti di un passato ancora vicino.