Si sono arresi all'alba i militari dissidenti che, capitanati da alcuni generali dell'esercito, avevano tentato un colpo di stato nel paese. Consegnandosi nelle mani dei soldati rimasti fedeli al presidente Pierre Nkurunziza, hanno ammesso il fallimento del loro progetto, a causa della forte determinazione che hanno trovato a sostegno del sistema di potere attuale. Il generale Cyrile Ndayirukiye e il capo della polizia Vénon Ndabaneze, dopo aver trascorso la notte nascosti in alcune abitazioni della capitale, all'alba si sono consegnati nelle mani degli uomini del presidente.

Il capo dell'insurrezione invece, il generale Godefroid Niyombare, ha tentato di fuggire dal paese ma è stato localizzato e arrestato.

Niyombare, che in passato è stato il capo dei servizi segreti del paese, è un esponente del partito al potere in questo momento, (Cndd-Fdp), lo stesso movimento politico al quale partecipa il presidente Nkurunziza. La giornata è stata caratterizzata da durissimi combattimenti avvenuti tra i golpisti e le forze governative fedeli al regime; Le battaglie più sanguinose sono avvenute nei pressi delle emittenti radio private più famose del paese (Bonesha, Insaganiroe e Rpa), della tv e della radio nazionale, queste ultime due peraltro già chiuse dalle autorità da quando iniziarono le proteste della popolazione, nel mese di Aprile.

Al momento delle insurrezioni il presidente si trovava fuori dal paese, esattamente a Dar Er Salaam, in Tanzania, per un vertice atto a discutere della crisi del Burundi, insieme ai capi Di Stato dell'Africa orientale. Una volta rientrato, è stato accolto da una folla festante. Molte altre persone invece continuano a protestare, anche se le proteste stesse sono state represse molto duramente.

Le rivolte sono iniziate quando il presidente, forte di una sentenza del Tribunale, ha presentato la sua terza candidatura consecutiva, peraltro considerata illegittima dalla Carta costituzionale; Ad oggi si contano complessivamente una ventina di morti e circa quaranta feriti. Il vicepresidente dell'Alte Corte, avendo subito pesanti ritorsioni perché contrario alla ricandidatura di Nkurunziza, è dovuto rifugiarsi fuori dal paese.

Anche il presidente Usa, Barak Obama, ha manifestato la sua contrarietà a una terza candidatura, peraltro giustificata a gran voce dallo stesso Nkurunziza, in quanto a suo dire il primo mandato presidenziale non fu a seguito della volontà popolare ma affidatogli istituzionalmente a conclusione della lunga guerra civile durata dal 1993 al 2009, che causò circa 200mila decessi. Tutti i cittadini americani sono stati invitati a lasciare il paese attraverso un comunicato del Dipartimento di Stato.