La giurisprudenza di legittimità sull’attribuzione dell’assegno di mantenimento o divorzile ha sempre ritenuto che esso dovesse rappresentare una sorta di ‘ancora di salvataggio’ per permettere al coniuge economicamente meno forte di conservare un tenore di vita uguale a quello sostenuto in costanza di matrimonio. Presupposto indispensabile per il suo riconoscimento è la sussistenza di situazioni di macroscopica difficoltà economica del coniuge avente diritto e l’inadeguatezza dei suoi redditi a far fronte ad esigenze di vita quotidiane. La necessità di assicurare al partner un’esistenza dignitosa, attraverso il versamento dell’assegno mensile, viene bilanciata valutando però attentamente anche un'altra circostanza: il fatto che il richiedente l’assegno di mantenimento abbia deciso di avviare una convivenza con un nuovo partner.
La giurisprudenza maggioritaria sul punto è sempre stata concorde nell’escludere al partner che inizia una nuova relazione, basata sulla convivenza “more uxorio”, il diritto di pretendere di essere mantenuto dall’ex-coniuge. Le motivazioni sottese a tale orientamento sono da rintracciarsi nel fatto che iniziare un rapporto sentimentale che conduce all’automatico formarsi di nuova "famiglia di fatto" connotata sempre da stabilità e continuità, sterilizza la necessità di mantenere un tenore economico uguale a quello goduto nella precedente relazione matrimoniale.
Dietrofront della Corte di Cassazione sull’assegno divorzile
La Corte di Cassazione però con una recente ordinanza la n 4175 del 2 febbraio 2016 ha sostanzialmente rivisto tali principi cardine, adeguandoli al caso sottoposto al suo esame.
La vicenda da cui trae origine la decisione della Corte di cassazione ha come protagonista un ex marito che aveva chiesto la revoca dell'assegno di divorzio perché la ex moglie aveva intrapreso una convivenza con un altro uomo. I giudici di merito però non hanno accolto il suo ricorso, perché dopo aver attentamente esaminato la situazione economico-reddituale della donna hanno evidenziato che non disponeva di redditi adeguati e sufficienti ad assicurarle un tenore di vita dignitoso.
La donna svolgeva infatti un‘attività lavorativa "in nero" e saltuaria ed inoltre le era stata revocata anche l'assegnazione della casa familiare, nella quale aveva vissuto prima della separazione. La revoca era legata all’autonomia del figlio di 35 anni che non viveva più insieme a lei, essendo inoltre economicamente indipendente.
Ne conseguiva che non c'era la necessità di assicurargli un habitat domestico al fine di non destabilizzare le sue abitudini di vita. Il marito non si è rassegnato e ha proposto ricorso per Cassazione che però ha confermato la sentenza della Corte d’Appello.
Nuova convivenza non sempre esclude l’assegno divorzile
Gli Ermellini, di fronte alle doglianze dell’uomo che ribadiva di percepire solo un reddito mensile di mille euro, hanno invece evidenziato come il suo reddito ammontava ad oltre 18 mila euro che lui percepiva in qualità di dipendente (operatore economico) comunale. Secondo i giudici di legittimità inoltre poteva escludersi la pretesa della donna a ricevere l’assegno solo qualora la nuova relazione intrapresa dalla stessa evesse comportato una condivisione totale delle spese con il nuovo compagno e la nascita di una stabile e continuativa convivenza.
Ma dato che nel caso di specie, al brivido di avviare una nuova relazione da parte donna non era seguita una stabilizzazione del nuovo rapporto amoroso, l’ex marito dovrà rassegnarsi a versarle l'assegno di divorzio pari a 250 euro mensile. Per altre info di diritto potete premere il tasto segui accanto al nome