Ad appena una settimana dal referendum i dubbi sul significato di questa 'petizione' nazionale sono infiniti e le persone sono ancora incerte sul da farsi quando domenica 17 aprile, dalle 7:00 alle 23:00, dovranno decidere e scegliere le tre opzioni possibiliste che hanno: il si, il no, oppure la comoda astensione seduti a casa in attesa che qualcun altro decida per loro. Questo è il pensiero comune di tanti italiani che non hanno ancora compreso il significato di un referendum e pensano che il quorum (numero indispensabile perrenderlovalido), si possa raggiungere anche non andando a esprimere il proprio pensiero.

Ulteriore analisi è d'obbligo verso la questione del consenso dato dal governo al COP21 in cui si era decisa la dismissione programmata delle fonti fossili e invece l'indirizzo attuale preso sembra perseverare verso la sua ricerca.

Perché il sì

Questo referendum riguarda le piattaforme petrolifere attualmente funzionanti nelle 12 miglia marine e la chiamata al voto è per abrogare la durata della concessione trentennale a cui è stata data una proroga (legge di stabilità del Governo Renzi), fino all'esaurimento delle risorse del giacimento. Per queste motivazioni da qualche mese sembra diventato indispensabile votare con il sì al prossimo referendum, anche se da ambedue 'le parti' ci sono divergenze capaci di mettere dubbi al cittadino più informato oppure a quello che potrebbe avere 'interessi particolari' che lo spingono a confrontarsi con una delle soluzioni.

Uno dei motivi più importanti per votare è la 'subsidenza'; fenomeno geologico legato a cause, sia naturali che artificiali, che portano l'abbassamento del suolo dovuto anche allo 'svuotamento' delle risorse della terra (gas e petrolio). Non meno importante è il rischio di inquinamento del territorio lungo le coste italiane, la distruzione dell'ecosistema biologico marino naturale, del turismo ad esso collegato e dell'impossibilità di un ripristino totale del territorio già saturo di idrocarburi policlinici aromatici, MTBE (composto chimico appartenente alla classe degli eteri) e di metalli pesanti (analizzati a Ragusa nella piattaforma Vega A).

A questo aggiungiamo la pubblicità sulla genuinità delle cozze di Ravenna pescate intorno alle piattaforme petrolifere, mentre invece si è scoperto che provenivano da altre località più pulite della nostra Italia.

Perché il no

I lavoratori impegnati nel piano 'trivelle e piattaforme petrolifere' hanno riserve e timori al pensiero di una prevalenza del sì al voto che potrebbe fargli perdere il posto di lavoro; così opteranno ovviamente per l'astensione o si serviranno del dissenso informato.

Questi sono timori infondati perché non è assolutamente vero che gli operai perderanno il posto di lavoro e non saranno licenziati il giorno dopo il referendum. Gli indefessi e preoccupati lavoratori devono solo ricordare che la loro assunzione sulle piattaforme petrolifere è subordinata, fin dalla firma del contratto, alla durata della concessione trentennale, quindi sono da tempo al corrente della data del loro possibile licenziamento, e l'allungamento del permesso allo sfruttamento del giacimento diventava solo un'opzione che allungava il contratto. Ovviamente se dovesse vincere il no, le trivelle andranno avanti fino ad esaurimento delle risorse. Il quesito non è semplice ma una mano sulla coscienza e la ricerca di un'azione responsabile diventa obbligatoria prima di andare a votare questo referendum che costa a noi (Stato), la bellezza di circa 350 milioni di euro.