Si sta per affrontare la 'grande guerra' nel referendum che collaborerà involontariamente alla decisione unanime delle sorti dell'economia italiana, della salvaguardia delle coste e degli abitanti dei suoi mari. Questa decisione sembra essere la continuazione di una lunga discussione iniziata con la conferenza sul clima nel COP21 del 30 novembre 2015, dove i delegati di 195 Paesi si sono rincorsi nel trovare un accordo per ridurre le immissioni inquinanti del pianeta e contenere il riscaldamento globale al disotto dei 2 gradi e dove, il segretario generale Ban Ki-moon comunicò: "Le soluzioni sono sul tavolo, sta a noi cambiarle".

Parole profetiche che però non sembrano essere prese in considerazione dalle ultime decisioni che mirano a trivellare i mari lungo le coste italiane,rischiando di cancellarne l'incontaminata flora marina e mettendo da parte le soluzioni alternative che dovevano nascere per la sua salvaguardia.

Quello che non sappiamo

Il governo italiano aveva preso l'impegno di tagliare le emissioni di gas serra insieme ai 194 paesi del COP21 e invece, nello stato attuale, secondo un rapporto di Greenpeace e uno studio redatto dalla Althesys (società specializzata in consulenza strategica ambientale), sta incentivando la ricerca dei combustibili fossili (petrolio e gas), a discapito delle fonti rinnovabili che hanno avuto un taglio improvviso, sia nei contributi finanziari sia nella perdita di posti di lavoro che occupavano il settore e che avrebbero garantito, da qui al 2030 oltre 100mila posti di lavoro.

Secondo Luca Iacoboni (responsabile campagna Energia e Clima di Greenpeace), il referendum del 17 aprile sarebbe in grado di bocciare la politica energetica pro fossile del ministro Matteo Renzi attuata finora e che ha messo gli interessi industriali delle stesse al di sopra di quelli dei cittadini.

Cosa accade oltremare

Pochissime persone attualmente sono al corrente di quello che sta accadendo nei nostri mari e in quelli della Tunisia e sembra che il silenzio dei media stia nascondendo i fatti che risulterebbero devastanti e decisivi all'unanimità, verso il sì del referendum popolare del 17 aprile che vedrebbe abolite le trivelle in mare.

Forse il destino o la malasorte, ma proprio in questo periodo un guasto all'oleodotto sottomarino della Thyna Petroleum Services, a 120 km di distanza dalle coste italiane di Lampedusa, sta creando un'estesa macchia di petrolio verso le isole Kerkennah di 3 km circa di ampiezza. Il fatto è confermato dall'ambientalista dell'Ennakkil (Slah Bougdar), che denuncia; gli scogli della spiaggia costiera essere neri per via del petrolio disperso.

Un caso considerato il 13 marzo, non in grado di creare problemi ambientali quando si è scoperta la rottura e la perdita da un tubo di soli 10 mm di diametro. Gli habitat ricchi di fauna selvatica e vita marina dovranno sopportare anche questo disastro ambientale dovuto all'estrazione del tanto amato combustibile fossile, e mentre oggi Legambiente chiede al governo un intervento che chiarisca l'entità dei danni e le responsabilità, ci auguriamo di aver compreso bene quali potrebbero essere i danni creati all'Ambiente, se dovesse accadere un fatto analogo nelle località marine delle nostre turistiche incontaminate coste italiane.