Come a Bruxelles, poco più di due mesi dopo. Un altro aeroporto in Europa finisce nella lista degli attentati ed è quello di Istanbul, la più grande metropoli della Turchia. Intorno alle 22 (ora locale) di martedì 28 giugno, tre attentatori sono arrivati all’aeroporto Ataturk (il terzo scalo più grande d’Europa) in taxi, hanno aperto il fuoco nel salone di accesso delle partenze del terminal per i voli internazionali, quindi si sono fatti esplodere a un ingresso degli arrivi, al piano sottostante, quando la polizia ha cercato di fermarli. Il tragico bilancio, al momento, indica almeno 36 morti e 147 feriti.

Fonti della polizia turca parlano di un commando di sette persone che avrebbe agito per realizzare l’attentato: oltre ai tre kamikaze, tre persone sarebbero in fuga, mentre uno di essi è stato arrestato. Ma chi c’è dietro questo tragico episodio? Il principale indiziato, stando anche alle parole del primo ministro turco Yildirim, è l’Isis, ma ancora non ci sono rivendicazioni.

L’Europa non dorme sonni tranquilli e l’estate 2016 è cominciata con il codice rosso. Istanbul, purtroppo, finisce sotto attacco per la quarta volta nel corso di quest’anno e i principali indiziati per l’attentato all’aeroporto sono due: da una parte l’Isis, dall’altra il terrorismo filo-curdo. Ambedue si sono già resi protagonisti di episodi simili nel paese ottomano.

Un paese che sta vivendo un momento particolare, caratterizzato da una serie di interventi o passi anche delicati, che inevitabilmente possono provocare delle ripercussioni o aprire la strada a nuovi equilibri. Ma fatto sta che la Turchia era e resta al centro delle cronache internazionali: per la visita del Papa in Armenia, dove il pontefice ha riconosciuto il genocidio compiuto dai Turchi nella prima guerra mondiale, generando una reazione stizzita di Ankara; per il riavvicinamento nei rapporti con Israele, sei anni dopo la crisi della Mavi Marmara, nave turca che nel 2010 fu attaccata in acque internazionali dalle forze di Gerusalemme mentre stava portando aiuti alla Striscia di Gaza; per il messaggio inviato da Erdogan a Putin, una lettera di scuse rivolte alla famiglia del pilota del jet russo abbattuto a novembre 2015 nei cieli tra la Siria e la Turchia; ancora, per il costante impegno in Siria, dove Erdogan punta alla caduta del regime di Asad, mentre in casa propria la Turchia accoglie milioni di siriani, con l’impegno promesso all’Unione Europea di regolare i flussi verso gli altri paesi del nostro continente.

Insomma, c’è tanta carne al fuoco, tanto che alcune mosse potrebbero risultare sgradite a qualcuno, e dietro queste si celano probabilmente le ragioni dell’attentato mosso all’aeroporto di Istanbul.

Analisi a parte, si contano i danni e si lotta contro il tempo per limitarli, nella speranza che il bilancio dei morti non aumenti.

Lo scalo turco è stato chiuso, i voli in partenza sono stati cancellati e quelli in arrivo sono perlopiù dirottati altrove. Una volta superata l’emergenza, resteranno anche i contraccolpi per il turismo, che già a maggio in Turchia segnava i dati peggiori dal 1994.

Sui media locali è calata la censura per le immagini, mentre arrivano le prime testimonianze e prese di posizione: il presidente turco Erdogan ha condannato i fatti, sottolineando come essi siano avventi dentro il mese sacro del Ramadan, che durerà fino al 5 luglio; dai paesi vicini, il premier francese Hollande ha parato di “atto abominevole”, mentre Matteo Renzi ha espresso vicinanza al popolo turco, ribadendo la necessità di restare uniti nella battaglia contro il terrorismo.