La Suprema Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta in punto di esigenze di misure cautelari e di modalità di valutazione del presupposto di "attualità" del pericolo di reiterazione del reato.Questa volta l'intervento degli ermellini è ancora più incisivo.Con sentenza n° 24477 del 13.06.16 della sesta sezione penale, la Corte di Cassazione annulla l'ordinanza del Tribunale del riesame di Roma che aveva confermato la misura degli arresti domiciliari a carico di imprenditori raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per il reato di turbativa d'asta.

La sentenza si segnala per due ragioni: per un verso, vengono rigettate le doglianze difensive in punto di gravità indiziaria; per altro verso, vengono accolti i motivi di difesa inerenti il difetto di motivazione sulla sussistenza di esigenze cautelari.

La Suprema Corte coglie l'occasione per ribadire che la motivazione del giudice in merito alle esigenze cautelari, sotto il profilo del pericolo di reiterazione del reato, deve necessariamente confrontarsi con le nuove disposizioni legislative introdotte con legge n° 47 del 2015. Il giudice deve verificarenecessariamente, caso per caso, non solo se il pericolo di reiterazione del reato è "concreto", ma anche "attuale". L'occasione è ghiotta per gli ermellini per scongiurare il diffondersi di quel filone interpretativo giurisprudenziale che, all'alba della riforma legislativa del 2015, si è pronunciato per la sostanziale equiparazione dei concetti di concretezza e attualità, ritenendo quest'ultimo già insito nel primo.

Questo filone interpretativo, per fortuna rimasto isolato, finisce per vanificare la riforma legislativa del 2015 e le intenzioni del legislatore, tendenti a concretizzare ancora di più il principio dell'estrema ratio delle misure cautelari.

Il principio ribadito dalla sesta sezione penale è chiaro e, per certi versi, ovvio, se solo si considera che la legge 47 del 2015 ha mutuato un principio giurisprudenziale a rischio isolamento, pur se in linea con i diritti costituzionalmente garantiti in materia cautelare: "per ritenere attuale il pericolo concreto di reiterazione del reato, non è più sufficiente ipotizzare che la persona sottoposta alle indagini presentandosene l'occasione, sicuramente (o con elevato grado di probabilità) continuerà a delinquere...ma occorre anche la certezza o comunque l'elevato grado di probabilità che l'occasione del delitto si verificherà".

In effetti prima ancora della legge 47/2015, vi fu più di un'occasione per i supremi giudici per ribadire che il pericolo concreto di reiterazione del reato è circostanza ben diversa dal pericolo attuale di reiterazione (Sez. 1, n. 10347 del 20/01/2004; Sez. 3, n. 26833 del 26/03/2004, Torsello; Sez. 1, n. 25214 del 03/06/2009, Pallucchini; Sez.

4, n. 18851 del 10/04/2012, Schettino; Sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013, Vignali). Nonostante i pregressi pronunciati dei giudici di legittimità e nonostante la legge 47/2015, assistiamo ad un nuovo decisivo intervento degli ermellini. La decisione si segnala non solo per l'evidente preoccupazione della Corte rispetto alle diffidenze dei giudici di merito verso una riforma che mette un freno all'uso disinvolto della misura cautelare, ma soprattutto perché la decisione viene assunta in un caso nel quale la stessa Corte ha riconosciuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Dunque, per gli ermellini, anche in presenza di indagati raggiunti da gravi indizi, la verifica del giudice dell'attualità della "pericolosità sociale", deve essere particolarmente "stringente", perché possa dirsi rispettata la volontà del legislatore in punto di applicazione e scelta della misura cautelare idonea al caso concreto.

È una decisione di buon senso, non superflua se pensiamo alle tante - troppe - volte in cui la discrezionalità del giudice si è tradotta in motivazioni cautelari apodittiche, astratte e stereotipate, con buona pace del sovraffollamento carcerario.