Si fa presto a dire Isis. Chiaro che il sedicente califfato è considerato oggi il nemico pubblico numero uno per la cultura occidentale ma l'errore ricorrente della stessa è quello didipingere come una piovra ciò che invece ha più l'aspetto di un insieme di nebulose. La galassia jiahdista è vasta e variopinta e pensare che Raqqa, la presunta capitale dello Stato Islamico in Siria, sia la sede dove vengono pianificate le azioni terroristiche su scala internazionale è una colpevole leggerezza oltre che sintomo di cattiva informazione.

Il fascino del 'franchising Isis'

Teoricamente qualunque squilibrato potrebbe ideare un attentato sotto i vessilli dell'Isis, senza per questo aver ricevuto specifiche direttive dal califfo al-Baghdadi. L'eccidio al night club di Orlandoè un nitido esempio di tutto questo. Quanto accaduto a Dacca, l'attacco al bar-ristorante che ha provocato venti morti tra i quali ben nove di nazionalità italiana, non è certamente opera di un singolo psicopatico bensì di un gruppo organizzato. Resta da capire quanto questo commando sia effettivamente legato all'Isis. Molto probabile infatti che l'azione sia stata organizzata a livello locale e che i terroristi abbiano nel contempo dichiarato la propria fedeltà all'Isis.

A pensarci bene ci sono poche differenze con quanto accaduto a Parigi e Bruxelles o, più recentemente, all'aeroporto di Istanbul.Sono tutte cellule che non avevano legami tra loro se non l'etichetta "Isis" che somiglia più ad una sorta di "franchising" del terrore. Ognuna di queste azioni è stata pianificata autonomamente a livello locale: offrirla all'opinione pubblica sotto la bandiera nera del califfato la rende ancora più eclatante e, allo stesso modo, consegna al gruppo armato che l'ha messa in atto una maggiore "rispettabilità" nel variegato mondo dei movimenti islamisti.

Successivamente scatta l'abilità propagandistica dello Stato Islamico che si limita a rivendicare il sacrificio dei suoi "soldati" di cui, quasi sicuramente, non conosce nomi e volti. L'Isis ha bisogno di questi sanguinosi spot per dimostrare al mondo che la sua minaccia è ancora forte. In realtà le cose stanno andando diversamente sul campo di battaglia.

La crescita del terrorismo in Bangladesh

L'integralismo islamista in Bangladesh è un fenomeno recente. L'attentato a Daccaè senza dubbio il più grave tra quelli che hanno insanguinato il Paese ma nell'ultimo triennio decine di persone sono state trucidate da gruppi armati affiliati a forze estremiste come Jamaat-ul-Mujahideen Bangladesh e Ansar al-Islam, quest'ultimo considerato vicino ad Al Qaeda. Il Bangladesh è uno stato a maggioranza musulmana che per decenni è stato caratterizzato da una pacifica convivenza tra le diverse confessioni religiose. Probabile che, dinanzi ad una perenne crisi economica e ad intere aree bengalesi in preda a fame e miseria, l'estremismo jhadista sia in crescita ed abbia finito per convincere molte persone che il problema principale sia la politica fin troppo laica dell'attuale governo che avrebbe "tradito" i principi dell'Islam.

Un terreno fertile per l'Isis che, ovviamente, non ha alcun bisogno di pianificare attentati ma si limita a "farli propri" grazie alla collaborazione indiretta dei gruppi locali. Se non c'è nessun legame diretto tra gli attentati in Francia, Belgio, Turchia e Bangladesh, c'è però un obiettivo comune: quello di seminare il terrore in Occidente o negli Stati alleati dell'Occidente, dimostrando di poter colpire ovunque e comunque. Alla luce di questa analisi, riteniamo che la probabile prossima sconfitta dello Stato Islamico in Siria ed Iraq non metterà la parola fine nella lotta al terrorismo jihadista così come, in passato, non lo ha fatto l'uccisione di Osama Bin Laden.