Il fallito colpo di Stato contro Erdogan ha avuto ripercussioni politiche importanti, tanto dal punto di vista internazionale quanto interno alla stessa Turchia. Se alcuni prevedevano gravi conseguenze per i cospiratori e per la popolazione turca in generale, oggi quelle ipotesi trovano piena conferma nei fatti post-golpe.
Mercoledì scorso Recep Tayyip Erdogan ha proclamato lo stato di emergenza per tre mesi, ritenendo la decisione necessaria"per allontanare tutti gli individui implicati nel tentativo di colpo di Stato". Le decine di migliaia di arresti tra militari, giudici ed altri simpatizzanti del golpe sono state accompagnate da dichiarazioni preoccupanti del presidente turco nei confronti degli Stati Uniti, accusati di aver collaborato con la vera mente del complotto, l'ex Imam FethullahGulen.
In questo momento, quindi, mentre la Turchia sta mostrando un'apertura considerevole verso l'est e la Russia, mettendo addirittura a rischio la sua permanenza nella Nato, dal punto di vista interno, la libertà di stampa e di riunione rischiano di essere fortemente ristrette, ancor più di quanto non lo fossero già in precedenza. Motivo di grande apprensione sono però anche i trattamenti riservati a coloro che hanno partecipato al golpe del 15 luglio scorso: Amnesty International ha infatti raccolto informazioni e testimonianze secondo cui i detenuti avrebbero subito torture, stupri ed altre violazioni dei diritti.
La Turchia si muove verso lo stato di polizia
In questi giorni, Amnesty ha raccolto in Turchia una serie di prove che dimostrano che gli arrestati per presunti legami con il tentato colpo di Stato sono trattenuti arbitrariamente, spesso e volentieri in centri di detenzione informali come palestre e stalle.
Nella maggior parte dei casi, a questi individui non verrebbero neanche rivelate le accuse che pendono nei loro confronti. Ma questa è solo la faccia migliore del regime: Amnesty, infatti, parla anche di "casi estremamente allarmanti di tortura ed altri maltrattamenti nei confronti dei detenuti".
Stando alle testimonianze di avvocati, medici e di una fonte in servizio in uno di questi centri, la polizia costringerebbe i sospettati a restare in posizione di stress fino a 48 ore, rifiutando talvolta di fornirgli cibo, acqua o un adeguato trattamento medico, anche perché in tal caso dovrebbe rimediare ai suoi stessi atti da Gestapo, che includerebbero insulti verbali, percosse ed aggressioni di stampo sessuale.
Un'altra testimonianza, proveniente dal quartier generale della polizia ad Ankara, ha rivelato che un detenuto è stato colpito così duramente da fargli perdere conoscenza; dopo non avergli garantito assistenza medica, un medico lì presente avrebbe suggerito di lasciarlo morire, per poi riportare agli atti che sarebbe arrivato al centro di detenzione già morto.
I trattamenti più duri sarebbero comunque stati riservati agli alti ufficiali dell'esercito: alcuni avvocati di Ankara hanno infatti riferito all'organizzazione non governativa, di aver visto alcune alte cariche essere violentate dalla polizia con dei manganelli.
Amnesty: "La Turchia deve fermare queste pratiche"
John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l'Europa e l'Asia centrale, ha detto che "è assolutamente imperativo che le autorità turche pongano fine a queste pratiche ripugnanti e che consentano alle organizzazioni internazionali di visitare tutti questi detenuti nei posti in cui si trovano".
Dalhuisen, citato da "Russia Today", ha poi sottolineato che "la Turchia deve rispettare gli obblighi che derivano dalle leggi internazionali sui diritti umani e non deve abusare dello stato di emergenza per calpestare i diritti che spettano ai detenuti".