Ieri pomeriggio, alle ore 18:00, si sono svolti i solenni funerali di Stato per le vittime laziali del Terremoto che la notte del 24 agosto ha colpito e danneggiato gravemente i comuni di Accumoli, Arquata del Tronto e amatrice. La cerimonia si è svolta sotto una pioggia gentile, plumbea ma pacata; i funerali si sono tenuti sotto una tensostruttura realizzata ad hoc in pochissime ore, perché la gente di Amatrice ha preteso ed ottenuto di poter dire addio ai propri cari lì, in quel luogo che essi avevano amato.

I fatti

Nella giornata precedente ai funerali, la Protezione Civile aveva fatto sapere che le Procure avevano deciso di tenere i funerali presso l'aeroporto di Rieti.

Problemi quali la viabilità compromessa, le cattive condizioni del tempo, la presenza di personalità importanti (Presidente del Consiglio, Presidente della Camera e Presidente della Repubblica) sembravano aver reso necessaria quella scelta, infatti molti dei feretri erano già stati traslati in loco. Una volta giunta la notizia, ad Amatrice è divampata subito la protesta, anche molto accesa, portata avanti anche da Sergio Pirozzi, il sindaco, che si è voluto fare portavoce delle istanze della sua gente. In serata è arrivato il tweet di Matteo Renzi: i funerali si sarebbero svolti ad Amatrice.

I funerali

La cerimonia è stata breve e raccolta, alla quale c'erano anche giornalisti di diverse testate.

Il Vescovo di Rieti ha tenuto un'omelia sintetica, in cui ha ricordato che non sono i terremoti ad uccidere, ma le opere dell'uomo. Domenico Pompili ha anche ribadito la necessità di stare vicino alla gente che ha perso affetti e casa, aiutando queste persone a ricostruire nei loro luoghi. Alla fine della cerimonia ha preso la parola anche il sindaco, che ha voluto sottolineare come quelli che per noi sono solo numeri e nomi, elencati all'inizio della funzione, per lui fossero amici, persone care, volti noti.

Ha detto: "Questa gente è morta perché amava questa terra, ed è qui che vuole restare" esprimendo, nella confusione del dolore, la vicinanza inscindibile tra vivi e morti, la coesione di una comunità che il terremoto non è riuscita a spezzare.

Un Cristo appeso senza croce

L'emblema più tragico ma eloquente dellostato in cui versa Amatrice oggi, un tempo uno dei borghi più belli d'Italia, è il Cristo che è stato appeso alle spalle dell'altare improvvisato.

Privo di croce, a braccia spalancate, sembrava voler abbracciare la folla composta sotto di sé e le montagne dietro, con le macerie che si potevano vedere chiaramente per tutto il tempo della diretta, per chi ha seguitoi funerali in televisione.

Un tempo i cimiteri si trovavano all'interno dei centriabitati; in epoca napoleonica si decise di spostarli per questioni di igiene. In questo modo abbiamo perso il senso di unità di una comunità che continua anche dopo la morte. Senso che non hanno perso i paesi di montagna, che hanno piccoli cimiteri a poca distanza dagli abitati.Non a caso, molti di essiriportano questa iscrizione: "Quello che siete fummo. Quello che siamo sarete".

Una comunità coesa

Nel dolore,Amatrice ha dimostrato di saper essere unita, di non cedere un passo delle proprie istanze nemmeno di fronte allo straziante senso di vuoto che deriva dalla perdita delle persone amate. Questa gente sa bene che non servono commemorazioni e cerimonie solenni. L'unico modo per celebrare davvero l'amore che li legava a chi non c'è più è restare e lottare per conservare ciò che essi avevano amato in vita. Speriamo che anche le autorità se lo ricordino sempre, come stanno promettendo in questi giorni.