Siamo seduti su una polveriera, e lo sappiamo. Dissesti idrogeologici, vulcani, terremoti sono il nostro pane quotidiano. Facciamo finta di non saperlo, a volte perché fa comodo costruire dove non dovremmo, altre perché c’è una storia di insediamenti secolare che non può essere cancellata. A meno che non lo faccia la furia della natura, come in questo caso. Che però non è l’unico, e non sarà l’ultimo, nella storia del nostro Paese.

Gli altri terremoti

Il terremoto verificatosi nella notte con epicentro nel reatino, di magnitudo 6, è stato forte quasi quanto quello, di magnitudo 6.2, che il 6 aprile 2009 distrusse L'Aquila.

La storia recentevede altri grandi terremoti in Italia: quello del 1976 in Friuli è stato di magnitudo 6.2, quello dell'Irpinia (1980) di magnitudo 6.8, quello di Umbria e Marche (1997) di magnitudo 5.6, quello della pianura padana modenese (2012) di magnitudo 5.9.

Gli angeli dell'Aquila

Sono passati sette anni, e il concetto di sicurezza nelle scuole è Il decalogo della Protezione civile . Quell’edificio che diventò la tomba per un’intera generazione di piccoli aquilani, quasi tutta la prima elementare classe '96, è stato ricostruito secondo criteri nuovissimi; non così il resto del Paese, non così in altre parti d'Italia, non così nelle abitazioni civili.

Un tuffo nel passato

Sette anni non bastano a cancellare l’orrore del Terremoto.

Per le famiglie delle piccole vittime, per le quali il tempo ormai non ha alcun significato, le immagini che arrivavano da Amatrice sono state come mettere sale su una ferita mai rimarginata.Anni di dolore e di tribunali, di solidarietà e di polemiche; come quelle che dopo la sentenza di assoluzione degli indagati per il crollo, portarono i genitori aderenti al Comitato delle vittime persino a bruciare le tessere elettorali e a riconsegnare i soldi dei funerali di Stato.

Il ricordo delle Marche

Anche nelle Marche si è rivissuta la stessa sensazione. Nel settembre ‘maledetto’ infatti, quello del 1997, la regione subì la prima scossa del settimo-ottavo grado scala Mercalli; fu registrata alle 2:37 del 26 settembre, seguita da onde d’ urto successive: la seconda dell’ ottavo-nono grado e la terza del sesto grado Mercalli alle 11:42.

I morti furono quattro: una coppia di anziani coniugi schiacciati dalle macerie della propria casa a Serravalle di Chienti (Macerata) e un altro uomo in provincia, un’anziana travolta dai frammenti della facciata della chiesa di San Biagio a Fabriano qualche ora dopo. Circa 7.000 persone rimasero senza casa, ma poteva andare molto peggio.

La paura e la memoria

L’Italia affranta dal dolore ha sistematicamente dimenticato poi cosa vuol dire avere paura. Lo fa dopo ogni tragedia, e se per i suoi abitanti può essere una difesa, una sorta di istinto di sopravvivenza che impedisce di fermarsi a piangere le proprie vittime, per le istituzioni è diverso: a loro spetta il controllo del territorio, a loro compete evitare che accadano tragedie come quella che oggi vive tutto il centro Italia.

Certo la natura fa il suo corso, ed è sempre più forte dell’uomo. Ma l’esperienza del Giappone, dove 6 gradi Richter assumono la forma di un tremolio persino per i grattacieli, deve far riflettere.

Il destino non esiste, siamo noi a crearne le condizioni. Radere al suolo i vecchi borghi è impensabile, ma lo è altrettanto lasciare che la falda appenninica decida “motu proprio” di spazzare via una a una le città costruite dall’uomo. Non sarà un processo veloce, ma se non si interviene sarà inevitabile; la natura non ha fretta.