Dopo la prodigiosa, quanto fortuita, uccisione del ricercato numero uno d'Europa, Anis Amri, ritenuto l'esecutore della strage di Berlino, non hanno tardato a farsi largo le critiche sulla decisione di diffondere i nomi degli agenti di polizia coinvolti nella sparatoria. In prima battuta una circolare del capo Franco Gabrielli ha invitato alla "massima attenzione" sul rischio di "attività ritorsive" in seguito all'importante operazione di Sesto San Giovanni.

Massima attenzione?

All'indomani della circolare di Gabrielli, che ha comunque sortito l'effetto di accelerante nella polemica in corso sulla tutela della sicurezza dei poliziotti in questione, lo stesso capo della Polizia ha dichiarato, con molta serenità, di non nutrire forte preoccupazione per l'incolumità del singolo quanto, piuttosto, per quella dell'intero corpo delle forze armate.

Come dire, un ragionamento olistico che tenta, nuovamente, di non puntare il dito contro se stessi per fare un mea culpa: a diffondere i nomi dei due poliziotti di Sesto, lo ricordiamo, sono stati proprio il ministro dell'Interno Minniti e alcuni vertici della polizia. Impossibile non destare clamore, in un contesto profondamente fuori controllo dal punto di vista del decentramento tattico. A colpire, ora, non sembrerebbero più cellule terroristiche strutturate e radicate nel tessuto occidentale, bensì quei famosi "lupi solitari" la cui azione viene continuamente nutrita dal Califfato. Oggi, sostiene i carrozzone dei polemici, è possibile che se stai passeggiando a piedi per strada qualcuno ti sgozzi o ti spari senza preavviso.

Ecco come funziona il nuovo modus operandi del terrore, una macchina ancora più pericolosa perchè relegata all'individualità e non al "branco".

Nessun errore rivelare i nomi

Gabrielli tiene a precisare che la rivelazione dell'identità degli agenti non è il frutto di una reazione sconsiderata e ingenua: "Non c'è alcuna esposizione, ma un riconoscimento chiaro.

Una sottolineatura per mettere al centro chi ha reso possibile tutto questo rischiando la propria vita". Mettere al centro del mirino, sostengono i portavoce della polemica. "Fare i nomi con questo tipo di terrorismo - prosegue Gabrielli - non è nè un errore nè un'esposizione, perchè non siamo in presenza di un terrorismo come quello che abbiamo conosciuto negli anni '70, un terrorismo endogeno che ha interesse a colpire il singolo.

Qui ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso".

A questo punto appare chiaro che il Governo, così come per Franco Gabrielli, è ben chiara la natura di questa specie terroristica, e si evince la certezza, da parte delle istituzioni italiane, che il jihad non si orienta alla vendetta individuale ma alla vendetta "globale".