È ormai nota la triste vicenda di Tiziana Cantone, la giovane di 31 anni che si tolse la vita a causa della gogna mediatica alla quale era stata sottoposta dopo che erano stati diffusi nel web alcuni video a luci rosse che la ritraevano, video che lei stessa aveva acconsentito a filmare probabilmente con l'intenzione di vendicare un torto subito dal suo fidanzato. La faccenda, però, le sfuggì di mano, e in poco tempo i video fecero il giro del web. Tiziana decise di portare la vicenda in tribunale e di intentare causa a colossi del web come Facebook, Yahoo e Google, chiedendo la rimozione dei filmati.
Il tribunale di Napoli Nord accolse solo in tre casi la sua richiesta (Facebook, Il Fatto 24, Blitz quotidiano) ma rigettò l'accusa per gli altri siti (Yahoo, Google, YouTube, Citynews, Chicche Informatiche) perché ritenuta consenziente nel momento in cui filmò e diffuse quei video. Tiziana fu condannata a pagare le spese legali delle società citate per un totale di più di ventimila euro: l'ennesima umiliazione per la giovane, che non resse il colpo e decise allora di farla finita.
Chieste le spese legali alla madre
A distanza di tempo, come se non bastasse, arriva una tremenda beffa per la povera madre di Tiziana Cantone. L'avvocato Francesco Pianese, difensore della società che gestisce il sito web Chicche Informatiche (www.chiccheinformatiche.com), ovvero la App Ideas Srl, ritiene di non dover rinunciare al suo compenso e ha chiesto il pagamento alla madre di Tiziana, una cifra abbastanza alta che ammonta a circa 5 mila euro: "Ho chiesto il pagamento delle spese legali alla madre della giovane perché ho lavorato e credo sia giusto che quelle somme mi vengano liquidate" ha spiegato l'avvocato Pianese, per poi dichiarare il suo dispiacere per la tragica vicenda: "Provo dolore per la fine di Tiziana, che ritengo sia una vittima della nostra epoca".
L'avvocato della mamma di Tiziana, Andrea Orefice, si è mostrato alquanto scandalizzato dalla scelta del suo collega. Altre società, anch'esse citate da Tiziana in tribunale e anch'esse scagionate, hanno rinunciato al rimborso delle spese legali: tra queste vi sono Google e YouTube.