E’ un racconto di gravi lesioni delle libertà e dei diritti quello che fa amnesty international nel nuovo rapporto annuale appena uscito. In ogni parte del mondo, a seconda delle caratteristiche geografiche, politiche e culturali il disprezzo nei riguardi del “restare umani”, anziché arretrare avanza in modo inquietante. Tema questo che viene declinato con varie modalità: dalla crudeltà contro i civili negli scenari di guerra alla repressione delle voci di dissenso laddove i processi democratici vengono messi in discussione. E ancora: dalla crisi globale dei rifugiati ai discorsi d’incitamento all’odio.

E poi sorveglianza di massa, arresti arbitrari, persecuzioni, repressioni, crimini d’odio, completano il quadro di un mondo governato in maniera sempre più violenta.

In Medio Oriente

Sono gli scenari di guerra di Siria e Yemen che spiccano tra le atrocità in questo pezzo del mondo, soprattutto perché al centro dei conflitti vi sono le aggressioni alle popolazioni civili. Sembra retorico parlare di “famiglia umana” quando vengono bombardati gli ospedali dove i civili stessi sono ricoverati poiché colpiti dalla guerra. La distruzione indiscriminata di scuole e ospedali, da parte anche dei paesi occidentali o democratici oltre che degli stati dell'area, rappresenta l’elemento di novità del nuovo modo di condurre i conflitti bellici.

In tal senso l’immagine della tragedia di Aleppo è emblematica: una città rasa al suolo senza che nessuno si preoccupasse di creare corridoi umanitari per evacuare la popolazione civile. Ma c’è anche l’esempio dell’Egitto dove arresti arbitrari, torture, sparizioni degli oppositori al regime sono la prassi quotidiana. E per gli italiani il pensiero non può che correre al povero Giulio Regeni.

In Africa

Nel continente africano sono tante le espressioni di assenza di umanità da parte dei governi locali, uno di quelli più rappresentativi è il caso dell’Etiopia, partner dell’Italia nel piano del “migration compact”, con la repressione cruenta della popolazione degli Oromo, simboleggiata ai giochi olimpici di Rio de Janeiro dal maratoneta Feysa Lilesa quando all’arrivo, in segno di protesta, chiudeva i pugni davanti al viso.

In Sud-est asiatico e Asia orientale

La “guerra alla droga” nelle Filippine, promossa dal presidente Rodrigo Duterte, è stata caratterizzata da una escalation di violenza generalizzata, innescata dalle dichiarazioni pubbliche del presidente, il quale avallava le uccisioni di massa da parte dei vigilantes, che ha prodotto 6000 vittime. Altra cosa la Corea del Nord, dove un sistema violento di “repressione assoluta” ha ormai ridotto al lumicino le tecnologie della comunicazione.

In Europa e negli Stati Uniti

L’Europa e gli Stati Uniti sono accomunati da quelli che Amnesty definisce i “crimini d’odio”, attraverso cui la responsabilità delle crisi economiche e sociali sono state addossate alle minoranze etniche o religiose, innescando meccanismi di discriminazione, xenofobia e razzismo nei confronti di migranti e rifugiati, che hanno portato all’innalzamento dei muri.

Trump negli Stati Uniti e Orban in Ungheria ne sono i simboli. Ma sull’Europa è d’obbligo citare il caso della Turchia, con la repressione nei confronti degli oppositori al regime di Erdogan, intensificata dopo il tentato golpe dell’estate scorsa, dove solo a titolo d’esempio spiccano i 118 giornalisti arrestati e i 184 organi d’informazione chiusi…