Il Giappone ha ucciso 333 balenottere, nelle acque del mare Antartico, durante la stagione di caccia. Lo ha comunicato l'agenzia nipponica della pesca. Questo nonostante la levata di scudi degli ultimi anni da parte di diversi attori a livello internazionale. Ancora una mattanza, uguale a livello numerico a quella del 2016, messa a compimento dalla flotta giapponese per la caccia alla balena che è rientrata in patria dopo 83 giorni di 'missione'. Le cinque navi, partite a novembre scorso, avrebbero ucciso le balenottere per scopi scientifici. Sempre l'agenzia per la pesca, infatti, ha motivato la caccia ai cetacei come "ricerca con lo scopo di studiare il sistema ecologico nel mare antartico".

La replica delle associazioni ambientaliste e della Corte di giustizia internazionale è che, in realtà, il Giappone sarebbe interessato alla carne delle balene e non alla scienza. Tant'è che proprio la Corte di giustizia dell'Aja, nel 2014, aveva diffidato il governo nipponico a continuare nella cruenta pratica: infatti il 2014-2015 è stato l'unico anno degli ultimi 70 in cui il Giappone ha interrotto la caccia alla balena.

Quattromila cetacei morti negli ultimi 12 anni

La moratoria mondiale, peraltro, esiste fin dal 1986, ed è per questo che l'anno successivo Tokyo, per aggirarla – sostengono i contestatori -, ha introdotto la giustificazione della 'scientificità' del progetto. Prima della moratoria, la nazione del Sol Levante aveva dato un senso alle uccisioni degli animali col fatto che il consumo della carne di balena fa parte della cultura nazionale.

Infine, pure la Commissione internazionale sulla caccia alle balene (Iwc) ha protestato contro le motivazioni 'scientifiche' fornite dal Giappone, anche considerando il dato impressionante di quattromila balene uccise negli ultimi dodici anni. La caccia alla balena viene praticata con grandi baleniere che lanciano scialuppe in mare, le quali, avvicinandosi al cetaceo, lo colpiscono con un arpione esplosivo. Dopo la morte della balena, l'animale viene riportato sulla nave per essere lavorato.