Make America Great Again” è stato il motto che ha accompagnato l’interminabile campagna elettorale di Donald Trump ed in quasi due secoli e mezzo di Storia, gli Stati Uniti d’America hanno conosciuto soltanto un modo per dimostrare la propria grandezza nel mondo. Al contrario di ciò che aveva espresso nei suoi comizi che hanno preceduto il voto dello scorso novembre, il nuovo presidente americano ha subito mostrato i muscoli in Siria anche se riteniamo che la questione, almeno dal punto di vista militare, si sia fermata qui. Trump certamente non vuole rischiare lo scontro con la Russia, ma solo avvertire Vladimir Putin che il suo Paese è presente nello scacchiere mediorientale e non gli lascerà carta bianca.

Bashar al-Assad è entrato nel mirino di Trump quasi per caso, ma coerenza vuole che si vada fino in fondo e, pertanto, Washington si opporrà strenuamente ad una soluzione politica che veda l’attuale presidente alla guida del governo di Damasco nel prossimo futuro. L’obiettivo numero uno ora torna ad essere rappresentato dalla Corea del Nord, le cui continue provocazioni nei confronti della confinante Sud Corea e del vicino Giappone hanno oltrepassato da tempo il livello di guardia. Contrariamente a ciò che è accaduto in Siria, dove la Russia è stata avvisata dell’attacco poco prima del lancio dei missili, per la Corea c’è un prologo diplomatico nell’incontro con il leader cinese Xi Jinping. Trump ha già chiesto a Pechino di tenere a bada lo ‘scomodo’ alleato, prima che ci pensino gli Stati Uniti.

Il rilancio di Pyongyang

Ci sono due modi per reagire ad una minaccia verbale: scappare con la coda tra le gambe o fare la voce più grossa dell’avversario. Il leader nordcoreano ha scelto la seconda. “L’attacco statunitense in Siria è un’aggressione intollerabile – ha tuonato in un comunicato ufficiale Kim Jong-uned è la prova di quanto sia giusto che la Corea del Nord continui lo sviluppo del suo programma nucleare.

Da sempre gli Stati Uniti si atteggiano a superpotenza in maniera arrogante, scegliendo di colpire nazioni che non hanno armi nucleari”. Dal 2006 ad oggi, la Corea del Nord ha effettuato cinque test nucleari e le fonti raccolte dal Pentagono indicano la possibilità di una sesta esplosione a breve, in barba alle prescrizioni delle Nazioni Unite.

La soluzione militare per Pyongyang sarebbe già sul tavolo presidenziale, Washington godrebbe del pieno appoggio della Corea del Sud nel dispiegamento, entro i confini di quest’ultima, del sistema anti-misssile Thaad. Ma la cosa piace poco alla Cina ed anche alla vicina Russia, che la vedrebbero come una chiara minaccia. Xi Jinping avrebbe rassicurato Trump circa la sua collaborazione, al fine di convincere Kim Jong-un a ridimensionare le proprie ambizioni. Ad ogni modo, una flotta americana completa di portaerei avrebbe già lasciato Singapore con l’obiettivo di riposizionarsi nel Pacifico e presidiare la penisola coreana.