Secondo il Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, il biennio stragista iniziato nel 1992 con gli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e concluso nel 1993 con le bombe di Roma, Milano e Firenze, “ebbe matrici e finalità miste, frutto di una convergenza di interessi” tra Cosa Nostra e quelle che vengono definite “altre forze criminali”. Scarpinato, ripete le sue tesi (peraltro già note) in una intervista rilasciata al Fatto Quotidiano proprio nel giorno del 25° anniversario della strage di Capaci in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.
Secondo Scarpinato, sono stati condannati soltanto gli esecutori e i mandanti mafiosi, ma le indagini non sono ancora riuscite a squarciare “rilevanti zone d’ombra’. Il Pg palermitano passa poi ad elencare tutti gli indizi (o prove) che attesterebbero il coinvolgimento di questo fantomatico secondo livello ‘istituzionale. Si va dalle confessioni di Elio Ciolini alle anticipazioni di stampa sulle stragi, dalla testimonianza di Spatuzza su un personaggio misterioso che partecipò alla preparazione dell’attentato contro Borsellino, alla sparizione dell’Agenda Rossa dello stesso giudice, fino a giungere alla mancata perquisizione del covo di Totò Riina nel 1993.
Ciolini ‘l’indovino’ e gli altri depistaggi
Scarpinato mette in ordine i pesanti indizi che, a suo giudizio, confermano la presenza di un secondo livello ‘politico’ dietro la preparazione e l’esecuzione della strategia stragista del ’92-’93. Il Pg di Palermo cita Elio Ciolini, personaggio ambiguo, coinvolto nelle indagini sulla strage alla stazione di Bologna del 1980, legato, dice Scarpinato, a massoneria, servizi segreti e destra eversiva.
Fu proprio Ciolini, in due distinte occasioni (4 e 18 marzo 1992), mentre era in carcere a Bologna, a raccontare il prossimo omicidio di un importante politico democristiano (Salvo Lima fu effettivamente ammazzato il 12 marzo), l’avvio della stagione stragista (Falcone il 13 maggio, Borsellino il 19 luglio) e la strategia della tensione del 1993 che andava oltre il coinvolgimento della sola mafia.
Un indovino?
Altra prova contro i mandanti occulti è l’annuncio dell’agenzia di stampa ‘Repubblica’, “vicina ai servizi” secondo Scarpinato, che il 21 e 22 maggio preannunciò l’imminente “botto esterno”. Anche l’immediata ‘visita’ ai pc di Falcone, subito dopo la strage, nel suo ufficio al ministero di Giustizia, conferma la tesi della ‘manina istituzionale’. Ci sono poi le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza che ha più volte segnalato la presenza di un “personaggio non appartenente alla mafia” durante il caricamento dell’esplosivo sulla Fiat 126 fatta detonare a via D’Amelio.
Anche Francesca Castellese, madre di Giuseppe Di Matteo (il bambino rapito e poi sciolto nell’acido da Giovanni Brusca, intercettata dagli inquirenti, pregava il marito Santino Di Matteo di non rivelare particolari sugli “infiltrati” nella strage Borsellino.
E ancora, c’è il mistero della sparizione dell’Agenda Rossa dello stesso Borsellino, in cui il giudice avrebbe messo nero su bianco i suoi sospetti contro quelle che il collega e amico Falcone aveva definito “menti raffinatissime”.
Scarpinato allunga il suo elenco con la misteriosa mancata perquisizione e la ‘pulizia’ del covo di Riina subito dopo il suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993. Significative anche le bocche cucite di boss mafiosi condannati per le stragi come i fratelli Graviano, Nitto Santapaola e Salvatore Madonia. Per non parlare dell’omicidio del capomafia Giovanni Ilardo, finito nella tomba il 10 maggio 1996 insieme a tutti i suoi segreti. Scarpinato chiude, infine, il cerchio con le rivelazioni del pentito Vito Galatolo, il quale ha confessato di aver ricevuto nel 2012 l’ordine di far saltare in aria il pm Nino di Matteo direttamente da Matteo Messina Denaro.