Dalle ore 8 di sabato mattina (le 7 italiane) nessuno più, dall'interno della Turchia, è riuscito ad accedere all'enciclopedia online a contenuto libero: Wikipedia.
Limitazioni per gli utenti turchi
A rivelarlo è Turkey Blocks, "un'organizzazione dedita al controllo sulle restrizioni riguardo l'accesso ad internet".
Se in un primo momento poteva essere considerata solo una mera supposizione, quella del provvedimento da parte del governo, ben presto si è rivelata essere una conferma.
Le autorità di Ankara, infatti, hanno dichiarato di aver preso una disposizione.
Il motivo? Da quanto confermato dall'emittente locale Ntv, "i gestori del sito si sono rifiutati di cancellare false notizie relative a relazioni esistenti tra la Turchia e diversi gruppi terroristici".
Una misura che ha creato parecchia indignazione, ma che è stata raggirata. L'accesso sembra essere garantito dal VPN (Virtual Private Network), ossia "una rete di telecomunicazioni privata, instaurata tra soggetti che utilizzano un protocollo di trasmissione, come Internet, con funzione di trasporto".
Cosa ne sarà della faccenda, ancora non è chiaro, ma "solo quando le richieste turche saranno soddisfatte - garantisce il ministero turco delle Comunicazioni - wikipedia verrà riattivata". Sembra, dunque, che Istanbul non voglia proprio cedere.
Gli intransigenti provvedimenti
Non si tratta di una novità.
Già in passato (lo scorso novembre) alcuni importanti social network furono bloccati. Dopo azioni terroristiche agli utenti era stato impedito l'accesso a Facebook e Twitter. Le giustificazioni, però, sono risultate sempre le stesse: "Colpa dei picchi di traffico dopo eventi di una certa entità".
In realtà la ragione del 'blackout' sarebbe ben diversa: "Facebook e Twitter hanno divulgato la foto del magistrato Mehmet Selim Kiraz, rapito e giustiziato dal movimento di estrema sinistra Dhkp-c".
Ancora un esempio dell'autoritarismo condotto dal presidente Erdogan, che già aveva provveduto a stabilire un certo controllo sui mainstream media, durante la votazione del referendum, impedendo così ai cittadini di ottenere tutte le informazioni.
I media vengono ridotti al silenzio e con loro anche i giornalisti diventati oramai scomodi, al punto di poter essere licenziati o, nel peggiore dei casi, condannati al carcere. Questa la fine che probabilmente li attenderà nel caso in cui si dedicassero ad una campagna politica contraria al volere del presidente.