Se il periodo storico fosse quello degli anni '60 o '70, la presidenza di Donald Trump sarebbe in serio rischio. Ma se l'epoca fosse davvero quella citata, difficilmente il miliardario newyorkese avrebbe occupato lo Studio Ovale. Pertanto attendiamo sviluppi, tutto potrebbe scoppiare in una bolla di sapone, ma ad ogni modo nessuno scorcio iniziale di un mandato presidenziale negli Stati Uniti era stato caratterizzato da così tante polemiche. Che Trump potesse pagare lo scotto della sua inesperienza politica era prevedibile, ma ciò che è accaduto negli ultimi due giorni supera anche le peggiori previsioni.

Un leader della Casa Bianca accusato di rivelare ad una potenza rivale 'informazioni altamente classificate', tali da mettere a rischio la fonte che le avrebbe riferite ai servizi segreti. Qui si superano i confini della 'spy-story' e si finisce nella farsa, degna di una commedia demenziale americana. Ma c'è anche di peggio.

Israele e 'Russiagate'

A sollevare il polverone è stato il Washington Post, lo stesso organo di stampa che 45 anni fa squarciò il velo del 'caso Watergate' che avrebbe portato, due anni dopo, alle dimissioni di Richard Nixon. A rincarare la dose è arrivato anche il New York Times che ha svelato l'identità del presunto partner da cui sarebbero partite le informazioni relative all'Isis.

Riguarderebbero un piano predisposto dallo Stato Islamico per un possibile attacco terroristico, connesso in particolare alla sicurezza dei laptop sui voli. Tra le condizioni poste, ci sarebbe stata quella di non condividere questi dettagli con la Russia. La fonte sarebbero i servizi segreti israeliani e, se confermato, sarebbe di una gravità estrema anche per Tel Aviv.

Teoricamente la Russia potrebbe condividere tali informazioni con l'Iran che, da sempre, rappresenta un Paese nemico per Israele. Insomma, è un bel garbuglio, anche se lo stesso New York Times riconosce al presidente degli Stati Uniti "il potere di declassificare o rivelare qualsiasi informazione". Il problema, per l'appunto, è che Donald Trump avrebbe scelto la Russia come partner in tal senso, e qui si allunga nuovamente l'ombra dello scandalo del 'Russiagate' per il quale le indagini sono attualmente in corso.

Mosca, secondo le note accuse, avrebbe tentato in qualche modo di favorire la corsa elettorale di Trump. A rafforzare la tesi di un legame dell'attuale amministrazione della Casa Bianca con il Cremlino, arriva come una mannaia l'accusa di James Comey, l'ex capo dell'FBI, licenziato in tronco da Trump. Quest'ultimo ha rivelato che, lo scorso febbraio, il presidente degli Stati Uniti gli avrebbe chiesto di 'insabbiare' le indagini sul caso. Naturalmente la Casa Bianca smentisce.

L'ennesima gaffe di Trump

La Casa Bianca, tramite il consigliere per la sicurezza nazionale H.R. McMaster, aveva smentito seccamente anche la prima accusa. "Ero presente all'incontro tra il presidente Trump ed i rappresentanti del governo e dell'ambasciata russa.

Non si è discusso di operazioni militari, a parte quelle già conosciute". McMasters fa il suo lavoro, Trump dovrebbe svolgere correttamente il suo, ma lo smisurato ego di cui è in possesso lo ha fatto cadere in un nuovo scivolone. Il presidente degli Stati Uniti ha infatti rivendicato quello che, a tutti gli effetti, è un suo diritto: decidere di declassificare le informazioni e, pertanto, condividerle. "Volevo condividere con la Russia alcune notizie relative al terrorismo ed alla sicurezza sui voli aerei, ed è una cosa che ho assolutamente il diritto di fare", ha scritto in un Tweet. Verissimo, ma così facendo ha smentito parzialmente ciò che McMaster aveva affermato in precedenza, pertanto lo stesso consigliere per la sicurezza nazionale ha corretto il tiro, confermando in seconda battuta le parole del presidente.

Ha quindi rivelato che, nel corso dei colloqui con il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov e l'ambasciatore di Mosca negli Stati Uniti, Sergej Kisliak, si è discusso di queste informazioni ed è stato reso noto anche il nome della città da cui è partita la fonte, un centro siriano sotto il controllo dell'Isis. "Sono informazioni che avreste saputo anche da una fonte aperta", ha detto. Relativamente all'articolo del New York Times che rivela il nome dello Stato d'Israele nel ruolo di fonte delle informazioni, c'è invece l'intervento diretto del governo di Tel Aviv. In una nota inviata al quotidiano newyorkese, l'ambasciatore israeliano negli States sottolinea "la fiducia nella condivisione di intelligence con gli USA e l'intenzione di rafforzare questo rapporto con l'amministrazione Trump".

Tra l'altro, la prossima settimana, è in programma la prima visita ufficiale di Donald Trump nello Stato ebraico.

Le accuse di Comey

Così, nel momento in cui il caso si stava trasformando in un nuovo duello tra il presidente degli Stati Uniti ed una stampa che non è mai stata tenera nei suoi confronti, è arrivato come un macigno il dossier di James Comey. Qualcuno potrebbe vedere le accuse dell'ex capo dell'FBI come una vendetta nei confronti di un presidente che lo ha sollevato dal prestigioso incarico. Ma, alla luce della gravità delle affermazioni, il tutto deve essere attentamente verificato. Trump e Comey si sarebbero incontrati a febbraio, il presidente avrebbe chiesto espressamente di insabbiare l'inchiesta che i Federali stavano svolgendo sul generale Michael Flynn, il consigliere della sicurezza nazionale anche lui rimosso dalla Casa Bianca.

La motivazione di uno dei tanti licenziamenti di Trump in questi primi mesi di presidenza sta nelle rivelazioni sul caso 'Russiagate', in cui Flynn sembra decisamente coinvolto. Nel corso della campagna elettorale di Trump, infatti, il generale Flynn avrebbe più volte incontrato rappresentanti del Cremlino, riunioni che si sarebbero svolte in maniera riservata e nel corso delle quali avrebbe anche ricevuto pagamenti in denaro. La sua posizione si è talmente aggravata da essere stato convocato in 'sub-poena', con l'obbligo dunque di testimoniare sotto giuramento, dalla commissione parlamentare che indaga sul caso. Il sospetto che Trump sia stato a conoscenza degli incontri clandestini di Flynn è insistente ed ora viene rafforzato dalle dichiarazioni di Comey che, tra l'altro, avrebbe incontrato il presidente esattamente il 14 febbraio, il giorno successivo alle dimissioni dell'ex consigliere alla sicurezza.