In Inghilterra, nei dintorni di Manchester, Neil Tweedy, un uomo di 45 anni, ha denunciato la moglie per violenza domestica. Il comportamento violento della donna, si è manifestato per la prima volta nel 2005, durante la prima notte di nozze, costringendo il malcapitato a dormire sul divano.
Helen Tweedy, una rispettabile insegnante della provincia di Manchester, ha picchiato il marito per oltre 12 anni
L'uomo, ha ingenuamente continuato a sperare che il comportamento della moglie potesse cambiare con il passare del tempo. Ma le reazioni furiose della donna, amplificate dall'abuso di alcool non hanno fatto altro che diventare sempre più frequenti e moleste.
Neanche con la nascita della figlia, le aggressioni nei confronti dell'uomo sono diminuite. Così l'uomo, temendo di non essere creduto, ha deciso di installare una telecamera nascosta nel loro appartamento di Stretford, nell'area di Manchester, e per un periodo di due mesi l'ha ripresa mentre lei lo schiaffeggiava e gli imprecava contro. Una volta anche di fronte alla figlioletta di 4 anni.
L'uomo, temendo un ulteriore aggravarsi della situazione, ha allora deciso di denunciare tutto alla polizia
Lei di fronte alla giudice ha ammesso la propria colpevolezza ed è stata condannata ad un ordine restrittivo, che le impedirebbe di avere qualsiasi contatto con il marito.
Paradossalmente, ma come succede in realtà talvolta in casi analoghi, in seguito all'ordine restrittivo, il marito ha assunto le sue difese incolpando l'abuso di alcool e giustificando così il comportamento della moglie.
Non è infatti la prima volta che la vittima prenda le parti del suo "carnefice", giustificandolo e cercando comunque di evitare una scissione del rapporto. Quanto accaduto si avvicina molto a quella che viene comunemente definita come "Sindrome di Stoccolma". Un particolare stato di dipendenza psicologica e affettiva, che si manifesta in alcuni casi di violenza fisica e verbale.
Avallando gli atti violenti, la vittima, tende ad instaurare una sorta di alleanza solidale nei confronti del proprio carnefice, innescando un azione circolare molto difficile da interrompere. Sarebbe in questi casi proprio la mancata ribellione da parte della vittima, a continuare a spingere il carnefice a commettere ulteriori atti violenti, che col passare del tempo diventano il vero e proprio collante della relazione.