Salvatore 'Totò' Riina ha smesso di vivere.

Precisamente alle ore 3.37 del 17 novembre 2017.

Dopo due operazioni e 5 giorni di coma, non ce l'ha fatta. Era ricoverato nel reparto detenuti dell'ospedale Maggiore di Parma, in regime di 41 bis (il carcere duro per i reclusi più pericolosi) ormai da 24 anni. Date le condizioni di salute, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, ha concesso il permesso straordinario ai famigliari di poter vedere il detenuto. La famiglia, però, non ha avuto il tempo di vederlo in vita. L'uomo stava scontando 26 condanne all'ergastolo per decine di omicidi e stragi.

E, nonostante la detenzione al 41 bis da 24 anni, per gli inquirenti era ancora il capo di Cosa nostra.Sui social c'è molto movimento tra commenti, ingiurie verso Riina, espressioni di felicità per la sua morte. La figlia minore, Maria Concetta, su Facebook non ha rilasciato commenti, ma ha postato solamente un immagine di un una rosa nera, sovrastata dal volto di una donna che emerge da un sfondo scuro e un dito che sulla bocca con su scritto 'shhh', per indicare il silenzio.

Come reagire alla notizia della morte di un uomo che ha commesso così tanti omicidi ed ha impartito così tanto dolore?

Come poter avere una visione chiara della vicenda? Come dovremmo reagire di fronte alla morte di quest'uomo?

È moralmente accettabile gioire per la sua morte? Queste sono alcune tra le domande che hanno attraversato la mente di molti italiani che, aprendo i giornali, hanno appreso della scomparsa del boss della Mafia siciliana. Per avere una visione completa della questione, bisogna partire dal presupposto che ogni individuo sceglie le proprie convinzioni e i propri valori, in base alla proprie esperienze e a delle valutazioni personali.

Questa ontologia soggettiva si riflette nelle azioni quotidiane, e giustifica, secondo il soggetto, la bontà del proprio agire nel mondo. Nel caso particolare, troviamo un uomo, che più volte ha affermato di non essere pentito dei propri atti, che ha rilasciato dichiarazioni pesanti da cui non trapelano vacillamenti né tanto meno quel senso di pentimento che soddisferebbe la 'sete di vendetta' che potrebbe soddisfare i familiari degli omicidi da lui commessi e dal popolo italiano intero che ha subito gravi affronti da quest'uomo.

Dovendo quindi rispondere alla domanda se sia giusto o meno 'gioire' per la morte di Totò Riina, il primo passo è analizzare la condizione terrena dell'ultimo periodo del detenuto. Siamo di fronte quindi ad un uomo malato, che dichiara con forza di non avere rimorsi, ma di cui alla fine non possiamo scrutare i veri pensieri e un'eventuale sofferenza interiore che è sempre stata celata. Si è di fronte ad un soggetto che negli ultimi 24 anni della propria vita è stato condannato al regime peggiore per i carcerati in Italia – il 41bis – e che durante la fine della sua vita, data l'età, si è ammalato gravemente. Queste però, non sono condizioni sufficienti a decretare in modo oggettivo che il suo stato d'animo fosse inquieto, o che comunque stessa passando quel 'contrappasso dantesco' che tutti desidererebbero per dichiarare che giustizia è stata fatta anche dal punto di vista morale.

La redenzione di Totò Riina, per quanto imperscrutabile, sembra dunque che non sia avvenuta, ad ogni modo, ciò non dovrebbe influire nella reazione del lettore nel momento in cui apprende la notizia.

La concezione della morte secondo Epicuro

Il filosofo greco Epicuro, infatti, ci invita a riflettere sul concetto stesso di morte, affermando che: “La morte per noi non è nulla: ciò che infatti è distolto è insensibile, e ciò che è insensibile non ha niente a che fare con noi”. Il concetto risulta più chiaro considerando anche ciò che egli dice nelle sua 'Lettera sulla felicità', dove ci suggerisce di prendere “dimestichezza con il pensiero che per noi la morte non è nulla, perché tutto il bene e tutto il male risiedono nella sensazione, e la morte è privazione di sensazione […] cosicché è sciocco che dice di temere la morte non perchè sia dolorosa quando c'è, ma perchè addolora quando deve ancora venire; in effetti ciò che, presente, non dà turbamento, non è ragionevole che provochi dolore quando lo si aspetta.

Il più tremendo dei mali dunque, la morte, per noi non è nulla, dal momento che quando ci siamo noi la morte non c'è e quando c'è la morte non ci siamo più noi. Quindi non è nulla né per i vivi né per i morti, perchè rispetto agli uni non c'è, rispetto agli altri sono questi a non esserci”.

La giustizia e la saggezza come elementi fondamentali per la felicità umana

Da queste parole, si può comprendere come, sebbene ci si trovi davanti alla morte di un uomo che si è imposto nella società danneggiando tanti individui in modi ingiustificabilmente crudeli, la sua morte non ha influito nelle sue sensazioni, e non deve influire nemmeno su quelle altrui. Epicuro espone brutalmente il proprio pensiero sulla morte, dal quale non si riesce ad uscirne soddisfatti da un punto di vista prettamente emotivo ed egoistico.

Per analizzare la questione in modo formale dal punto di vista filosofico si dica che il filosofo aveva ben chiaro cosa fosse per lui la giustizia. Infatti, egli stabilisce che: “Il giusto secondo natura corrisponde a ciò che si rivela utile per non danneggiare gli altri e non essere da essi danneggiati” (aforisma 31). Il pensatore, inoltre, non crede sia possibile discernere tra un comportamento virtuoso e il raggiungimento della felicità, in quanto: “Non è possibile vivere felici senza condurre una vita saggia, specchiata e giusta, né condurre una vita saggia, specchiata e giusta senza essere felici. Chi non realizza questa condizione, ovvero non vive in modo assennato, specchiato e giusto, non può vivere felice”.

Epicuro dunque, stabilisce dei criteri entro i quali l'uomo può essere definito saggio, e quindi felice, canoni in cui il comportamento di Totò Riina, con certezza, non rientra. Il filosofo, inoltre adduce che: Non sono i conviti e le feste continue, né la pratica sessuale con donne e fanciulli [l'omosessualità era una pratica molto diffusa nell'antica Grecia], né il pesce pregiato e tutto quanto offre una mensa raffinata a rendere la vita felice, ma il lucido calcolo che valuta le cause di ogni scelta in positivo o negativo. Di tutte queste cose il principio e il bene maggiore è la saggezza […] che insegna come non sia possibile vivere felici se non si conduce una vita ragionevole, specchiata e giusta.

Le virtù sono infatti connaturate alla vita felice e la vita felice è da esse inscindibile.”

Concludendo

Si è di fronte ad una condanna di un comportamento da parte di un grande filosofo, che però, non consola e non soddisfa l'uomo comune in quanto viene esclusa a priori la possibilità della gratificazione degli impulsi più istintivi e naturali di vendetta. Il punto è, che come suggerisce l'epicureismo, si dovrebbe ricercare i motivi e le ragioni della nostra felicità nel proprio io, per arrivare ad una situazione di atarassia, che non è condizionata dagli eventi esterni. L'atarassia corrisponde a quello stato d'animo pieno, ordinato, in contrapposizione al vuoto e al marasma che possono prevaricare la razionalità del soggetto imponendogli sofferenza e caos.

Secondo Epicuro “Il saggio né rifiuta il vivere né teme il non vivere, perchè né è contrario alla vita, né ritiene che ci sia qualcosa di male nella non-vita”. L'individuo che si pone come ideale da conseguire la saggezza, deve necessariamente essere indipendente nel pensiero e riuscire a controllare la propria emotività, sebbene l'ambiente esterno possa essere in tumulto, in modo da dominare e sopportare i dolori fisici e morali.

La brutalità del pensiero di Epicuro ci fa riflettere dunque sul fatto che la morte di un uomo, seppur abbia commesso atti spregevoli, non deve tangere in alcun modo il lettore, né in senso positivo né in senso negativo. Il fatto che Totò Riina abbia cessato di esistere non è qualcosa per cui dovremmo provare un qualsiasi tipo di sentimento, per il semplice fatto che essa sostanzialmente non ci riguarda.

Ciò non significa che la fine della vita del Boss mafioso non ci può lasciare spunti di riflessione o dei dubbi, ma piuttosto dovrebbe non coinvolgerci dal punto di vista emotivo, lasciando spazio ad una lucida riflessione sul percorso di quest'uomo, in modo da conoscere ed essere informati su ciò che ha sbagliato, e non tanto sulla gratificazione personale che la sua morte dovrebbe darci.