Sebbene la maggior parte delle persone abbia l’abitudine di stendere una lista di buoni propositi per l’anno nuovo, soltanto una piccolissima parte di questi impegni vengono messi in atto e portati avanti per tutto l’anno.
C’è chi vorrebbe allenarsi, chi ha obiettivi di carriera o di studio e chi vorrebbe semplicemente essere meno stressato, ma finisce poi verso la fine dell’anno successivo a constatare che non è cambiato nulla, e si aggiunge a questa situazione una buona dose di frustrazione per non aver perseguito i propri scopi.
Vi sono però alcuni consigli psicologici che possono essere molto utili a non rendere vano il nostro tentativo di migliorarci.
Gratificazione istantanea
Spesso quando formuliamo buoni propositi per l’anno venturo ci focalizziamo, giustamente, su ciò che vorremmo diventare (se si parla di palestra, per esempio, ci si visualizza muscolosi in spiaggia, se si parla di studi ci prefiguriamo già la nostra festa di laurea) fidandoci troppo di un’effimera motivazione senza però tenere conto del processo che porta al raggiungimento di quegli obiettivi.
Una possibile soluzione, per ovviare a questo inconveniente, è porsi dei traguardi intermedi: piccole tappe che ci rendano fieri solo per il fatto di essere state raggiunte, saziando quindi il nostro bisogno di gratificazione istantanea.
Inoltre questo metodo ci mantiene focalizzati ed è molto più facile da organizzare rispetto a un obbiettivo meno specifico.
La possibilità di organizzare può rendere il nostro obiettivo una routine giornaliera e, una volta instaurata, l’abitudine è molto più potente della motivazione.
Uno alla volta, per carità
Un’ altro errore, comune soprattutto a chi è maggiormente insoddisfatto, è quello di porsi troppi obiettivi di cambiamento per l’anno successivo.
Questa modalità può essere molto motivante, soprattutto al inizio, ma con il tempo si scontra con una dura realtà: non siamo in grado di gestire tanti processi contemporaneamente.
Il cambiamento, soprattutto se voluto, è una cosa molto positiva per chi lo mette in atto, ma va anche considerato che si tratta di un processo impegnativo e che quindi è molto più proficuo concentrarsi con tutte le proprie risorse su un obiettivo alla volta.
Ciò necessita una scelta fra i propri bisogni più impellenti e comporta lo stabilirsi di priorità che, in quanto tali, implicano una rinuncia a favore dell’obiettivo prefissato.
Complicarsi la vita
Per un fattore di ergonomia cognitiva, tendiamo a fare le cose che ci riescono più facili ed evitare le cose che comportano un inutile sforzo. Sembra ovvio, e proprio per questa ragione andrebbe sfruttato per non farci inciampare sulla strada per il raggiungimento dei nostri obiettivi: se si mettono delle caramelle sopra un piatto in sala tenderemo a finirle tutte in minor tempo rispetto alle stesse chiuse in un anta di uno scaffale alto e poco accessibile.
Se si vuole interrompere una cattiva abitudine (per esempio mangiare troppo o fumare) può essere una buona strategia rendere quel gesto indesiderato insensatamente difficile da mettere in atto
Difficilmente questo metodo da solo è risolutivo ma aiuta ad instaurare un pensiero dove sarebbe stato più naturale, ma deleterio, un gesto spontaneo.
Se invece si vuole promuovere un’abitudine positiva per il nostro benessere, è molto più facile metterla in pratica se la si rende più semplice o comoda (prepararsi il borsone da ginnastica la sera prima).
Questa modalità aiuta a rompere le routine delle quali vogliamo disfarci, dandoci maggiore consapevolezza di quello che stiamo facendo e più controllo sulla nostra vita.