Non erano passate nemmeno 24 ore dall’omicidio di Giuseppe Parretta, avvenuto sabato intorno alle 16.40 in un palazzo del centro storico di crotone. Eppure Katia Villirillo, la madre del 18enne, ieri ha trovato la forza di parlare. E l’ha fatto al microfono di We Sud News.

Pallida, vestita di nero e una sciarpa rosa intorno al collo, questa giovane donna, che aveva appena perso il primo dei suoi tre figli, ucciso davanti ai suoi occhi, aveva voglia di raccontare chi era Giuseppe. Soprattutto aveva bisogno di chiedere giustizia per il suo ragazzo.

Quel “piccolo ometto” che, ne è sicura, non avrebbe voluto che cercasse vendetta per lui. Ma giustizia, solo quella.

Così ha cercato di vincere il dolore, che pure le devastava il volto bianco segnato dalle lacrime, e ha ricordato cos’era successo il giorno prima. Ha ricostruito gli attimi in cui Salvatore Gerace, suo vicino di casa, si è presentato nella sede dell’associazione Libere donne, di cui Katia è presidente, e ha fatto fuoco su Giuseppe, freddandolo con cinque colpi di pistola al petto.

La ricostruzione dei fatti di Katia Villirillo

All’intervistatrice la madre di Giuseppe Parretta mostra una foto del figlio. Poi dice: “È l’ultima foto, quella scattata mezz’ora prima di morire, prima che lui (Salvatore Gerace – ndr) entrasse con la pistola per uccidere tutti noi e ha colpito Giuseppe”.

E Continua: “È entrato con l’intenzione di fare del male, perché ha sparato cinque colpi”.

Katia cerca di non sciogliersi in un pianto a dirotto, tenta di mandare giù quel groppo che le opprime la gola. E parla del figlio, quel ragazzo meraviglioso che le faceva anche da marito, amico e confidente: “Giuseppe non avrebbe voluto che mi facessi giustizia con le mie mani, perché lui credeva nella giustizia.

E anch’io ci credo – dice –. Aspetterò che il destino e le forze dell’ordine facciano quello che è giusto, perché credo nella legge e sono certa che sarà fatta giustizia”.

L’idea di Katia Villirillo sul movente dell’omicidio

Poi l’intervistatrice invita la donna a tornare sui fatti tragici avvenuti sabato. Le chiede di quella moto nuova con cui Giuseppe si era presentato in via Ducarne, sede della sua associazione, ma dove si trova anche l’appartamento in cui Katia abita con i suoi figli.

Motocicletta che il ragazzo aveva comprato con i risparmi messi da parte lavorando come cameriere in alcuni locali del centro storico di Crotone.

“Forse ha pensato (Salvatore Gerace – ndr) che fosse il regalo che ci era stato fatto per accusarlo e metterlo nelle mani di persone da cui lui si sentiva perseguitato – spiega –. Tre giorni prima mi aveva chiamato, dicendomi che aveva paura che qualcuno lo volesse uccidere, che aveva avuto una minaccia. E aveva paura che i miei figli, essendo piccoli, lo vendevano. Ma io gli avevo detto di stare tranquillo”.

Dunque, sarebbe questo il movente di un omicidio, che nelle prime ore era stato spiegato come il tragico epilogo di dissidi tra vicini. Invece, Salvatore Gerace, che ha precedenti per rapina e spaccio di droga, credeva che qualcuno degli ambienti loschi che frequentava usasse il ragazzo per arrivare a lui.

Paranoie che l’hanno portato a fare fuori Giuseppe, che con i suoi traffici poco puliti non c’entrava assolutamente nulla.

Intanto, ieri sera nelle strade di Crotone si è svolta una fiaccolata in memoria del giovane ucciso. In testa al corteo uno striscione recitava: “Peppe vive”.