Chamath Palihapitiya, ex vicepresidente per la crescita degli utenti su Facebook, ha affermato di sentire un "profondo senso di colpa" per la sua collaborazione con l'azienda della grande F: secondo le sue dichiarazioni dal tono accusatorio, i social media si riducono ad essere "strumenti che distruggono il tessuto sociale tramite cicli di feedback a breve termine scaturiti da dopamina" e ancora che nel social "non è possibile svolgere alcun discorso civile, alcuna cooperazione ma vi sia solo spazio per la disinformazione".
A proposito dell'ultima affermazione, molti osservatori hanno in effetti attribuito gli esiti inaspettati delle elezioni presidenziali americane del 2016 e del referendum sulla Brexit almeno in parte alle camere di eco ideologiche create dagli algoritmi di Facebook, fra le quali proliferazione di notizie false, cospirazioni e propaganda seppur certamente affiancate da notizie con fonti autorevoli.
Bias di Conferma
Perché le nostre menti non possano essere dirottate verso la falsificazione del fatto reale, è necessario che si sviluppi un vincolo di fiducia fra pubblico di lettori e fonti di informazione attendibili: ciò non sempre avviene, anche vista la crescente tendenza nel vastissimo mondo dell'informazione a portata di click, alla ricerca di news che confermino una propria posizione ideologica. Ciò risponde ad un meccanismo psicologico chiamato bias di conferma, o persistenza alla credenza, che spiega come le persone, specie quelle più vanitose e sicure di sé, cerchino costantemente di confermare ciò che si sa (o che si crede di sapere) attraverso ricerche tendenziose di pareri ed opinioni già simili alle nostre.
In un certo modo, Mr. Palihapitiya ha denunciato la pericolosità del ruolo che i social network si sono riservati sulle generazioni contemporanee e future, in quanto visto il loro fondamentale peso sulla vita quotidiana in termini di tempo trascorso a reagire ai feedback proposti, sarebbero i fautori dell'omicidio della dialettica, del reciproco scambio si opinioni, dell'ascolto ponderato dell'altro così come era stato pensato originariamente il dialogo socraticamente inteso.
Se così davvero fosse, ciò rappresenterebbe un problema globale di portata storica: non v'è mai stata una società in grado di autodistruggere i fondamenti sociali delle azioni e delle relazioni sempre orientate dall'altrui comportamento.
La qualità dell'intervista
L'intervista rilasciata in occasione di un evento della Stanford Business School ha suscitato qualche sospetto fra i suoi ascoltatori: si è trattato, infatti, di un confronto caratterizzato da un ritmo di battute supersonico e da un modo di parlare che indica un profondo distacco emozionale da quanto espresso.
Chi parla a raffica non concede effettivamente il giusto tempo al suo sistema emozionale di digerire le parole, di coglierne la reale portata: così facendo, si corre il rischio di rimanere staccati dalle emozioni fondamentali dell'essere umano che ne orientano il corso della vita manifestandosi negli eventi segnanti le nostre personalità, come gioia, tristezza o rabbia.
Già solo il modo di presentare l'argomento indica che il contenuto e lo scopo di questa intervista fallisce, in quanto usa un metodo che rinforza ciò che vuol criticare: il tempo della riflessione, infatti, non può che essere un tempo lento, utile a garantire la comprensione emozionale di quanto si è detto.