E' successo a Cantù, in provincia di Milano, nella serata del 21 gennaio, una paziente si è recata alla guardia medica della città per essere visitata a causa di un malore. Ad accoglierla è stato un dottore di colore 30enne nativo del Camerun, quale Andi Nganso, trasferitosi da 12 anni in Italia. Alla vista del dottore africano, la paziente ha dichiarato esplicitamente di non voler essere visitata dall'uomo, e ha così lasciato la guardia medica. Lo stupore e l'indignazione del dottore è stata espressa prontamente sul social network Facebook:

La reazione del dottore

Il dottore ha sarcasticamente pubblicato un post su Facebook lasciando trasparire tutta la sua indignazione di fronte all'accaduto.

Il dottore, infatti, non le manda a dire alla paziente, e la ringrazia ironicamente per il tempo guadagnato per una breve pausa dopo la sua dichiarata volontà di non voler essere visitata de quest'ultimo. L'uomo ha in seguito dichiarato che, nonostante l'entità e la singolarità della situazione accaduta, tuttavia, non è la prima volta che percepisce più o meno esplicitamente atteggiamenti pregiudizievoli e razzisti nei suoi confronti. Prima di trasferirsi al Nord l'uomo ha lavorato nei centri di accoglienza di Bresso e Lampedusa, venendo in seguito catapultato in un'altra realtà, ossia quella di Cantù. Secondo quanto dichiarato dal dottore, molti pazienti con i quali si è trovato a lavorare non sono riusciti a nascondere la loro sorpresa e, probabilmente, il disagio nel trovarsi davanti un dottore di colore.

Spesso, difatti, secondo quando ricostruito dall'uomo d'origine africane, alcuni pazienti lasciano l'ambulatorio con una scusa, altri, invece, manifestano segni di disapprovazione.

Le sottili strategie psicologiche mediante cui opera il razzismo contemporaneo

Il 21° secolo è per antonomasia l'espressione dell'esasperazione dei concetti di etica, morale, perbenismo e, probabilmente con amarezza, bisogna sottolineare anche un certo qualunquismo.

Nonostante il dogma voglia che i pensieri e i valori democratici siano fonte di un ideale di equilibro pacifico tra gli umani, in fondo, se davvero si volesse analizzare con sguardo critico la realtà, allora, sarebbe possibile trovare le falle di una democrazia impiantata in un sistema capitalista. Ogni forma di PREGIUDIZIO, stereotipo e razzismo, continua a sopravvivere nella realtà moderna, nonostante quest'ultima stessa cerchi di nasconderne la reale entità e intensità attraverso cui si esprime.

Bisogna, appunto, sottolineare che nella società contemporanea non è stato estinto il pensiero razzista, bensì, è stato soltanto modificata la modalità attraverso cui questo si esprime. Il pensiero dell'uomo è controllato e plasmato dalle istituzioni, che a loro volta vivono il tempo storico in cui esse si trovano, esprimendo dunque ciò che è il "bene" e quello che è il "male". Se il razzismo è stato sempre "permesso" e "giustificato" negli altri periodi storici passati, la società contemporanea, usa e strumentalizza il pensiero etico e morale perbenista e antirazzista come metodo per ottenere consenso ed equilibrio all'interno del sistema. Dunque, se realmente ci si spinge al nocciolo del problema, il razzismo oggi opera ancora, in maniera subdola e strategica, del tutto implicita.

Come sarebbe mai possibile, appunto, che un dottore operante in Italia, venga ancora oggi discriminato in una società che ha valori democratici e di accettazione? C'accorgiamo, dunque, che il razzismo è ancora oggi vivo, nella quotidianità del divenire della vita, tuttavia, se in passato si esprimeva esplicitamente, oggi lo si esprime con forme implicite, in quanto non più permesso e giustificato, ma mai estinto del tutto dalla psiche umana.

L'analisi psicologica del razzismo

Il razzismo, secondo la Psicologia sociale, opera attraverso due modalità d'espressione, quali il pregiudizio e lo stereotipo. Secondo Allport - studioso e psicologo che ha apportato grandi contributi nel campo della psicologia - il pregiudizio è un'antipatia fondata su una generalizzazione falsa e inflessibile.

Lo stereotipo, viene comunemente definito come la generalizzazione vaga di alcuni caratteristiche salienti che accomunano alcuni individui, con connotazione negativa o positiva. Il razzismo, come già detto, oggi non è estinto e opera diversamente. Due studiosi - Pettigrew e Meertens -, difatti, hanno diversificato tra un pregiudizio manifesto, ossia quello dei tempi storici passati, caratterizzato dalla percezione della minaccia e dal rifiuto dell'outgroup, e un pregiudizio latente, e dunque quello contemporaneo, caratterizzato dalla difesa dei valori tradizionali e dall'esagerazione delle differenze culturali. Dunque, i pregiudizi sono insiti in noi, a prescindere dalla nostra consapevolezza, e dal nostro essere contrari, sono vivi e operano nella nostra psiche dal profondo del nostro inconscio.

A sostenere vivamente questa tesi sono gli studiosi appartenenti al progetto "Project Implicit", ricerca avviata dal professore di psicologia della University of Washington, quale G. Greenwald. Lo studioso aveva in passato pubblicato un libro, con la collaborazione di un collega, dal titolo "Punto cieco: i pregiudizi nascosti delle persone buone", base da cui ha poi messo a punto un test denominato "Implicit Association Test", che analizza l'associazione che sussistono tra le cognizioni e pensieri relative a volti e concetti. Il test viene suddiviso in otto classi, che contengono differenti temi di pregiudizi, quali: razza, genere, nazionalità, età, colore della pelle, orientamento sessuale, disabilità e peso.

La modalità attraverso cui si svolge il test, prevede una piattaforma informatica di facile uso e accesso, attraverso cui si associa un basso livello di pregiudizio alla latenza - velocità - con cui si risponde agli stimoli associandoli al target. E' possibile comprendere meglio il test e magari sé stessi, nella piattaforma creata sul sito della Harvard University, ove è disponibile il test d'associazione implicita anche nella lingua italiana. La psicologia è anche un metodo di ricerca di sé stessi, bisognerebbe non essere così sicuri di essere quel che si crede perché, spesso, ci si trova di fronte ad una dissonanza che viene a crearsi tra un proprio atteggiamento che opera implicitamente e quel che si crede consapevolmente di essere.